Commissione Cultura - Semi di Luce

Semi di luce n° 1

Affiancando “Il soffio”, questa pubblicazione curata dalla “Commissione Cultura” porta maggiori contenuti e vuole approfondire e far riflettere su tematiche quali relativismo, bioetica, impegno sociale, volontariato, immigrazione. Gli stessi temi che sono stati alla base dei partecipati incontri d’Avvento.
Alcune pagine sono dedicate a don Mario Ciceri, un sacerdote vissuto a Sulbiate, già Servo di Dio e per cui è in moto la causa di beatificazione.

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Semi di luce n° 2

Esce un nuovo numero di “Semi di luce” che vuole dare degli spunti di riflessione in cinque aree: relativismo, volontariato, famiglia e società, bioetica ed immigrazione.
Oltre a questo, l’articolo di apertura del parroco sull’importanza della comunicazione e un articolo su don Ambrogio Sbarbori, ex parroco di Bernareggio, nei vent’anni dalla morte.
Buona lettura…

Semi di luce n° 3

Ecco il tezo numero del bollettino di approfondimento curato dalla Commissione Cultura.
Ampio spazio e’ dedicato al tema della famiglia, vista nelle diverse angolazioni di relativismo, volontariato e bioetica.
Vi sono poi un articolo che presenta i recenti film sul tema dell’immigrazione, ed uno su Padre Ludovico, nativo di Aicurzio.

Link per approfondire

25 gennaio 2015
Proponiamo un commento alle parole del Papa ad una settimana dai tragici eventi di Parigi: l’assoluta condanna della violenza ma anche un invito a riflettere sui limiti alla libertà di espressione quando questa diventa offesa alla sensibilità altrui.
Il laicismo che rivendica il diritto di libertà assoluta e vorrebbe l’oblio di ogni religione non può portare ad un futuro di convivenza e pace. Il “principio della risposta” può essere solo il rispetto e il dialogo.
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/il-principio-della-risposta.aspx

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21 novembre 2014
“Dio sempre perdona. Gli uomini perdonano a volte. La terra non perdona mai!”
Questa frase, riferita oggi da Papa Francesco nel suo discorso alla sede della FAO,
ci fa riflettere su quale sia il nostro rapporto con l’ambiente e, in modo particolare, con l’acqua e il cibo.
Oltre ad informarci (lo facciamo?) sulle azioni e sulle tensioni che ci sono nel mondo,
come ci comportiamo con i nostri capricci e con lo spreco di cibo?
iniziamo a rifletterci, con un pensiero all’Expo di Milano…

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/november/documents/papa-francesco_20141120_visita-fao.html

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26 agosto 2014
Le terribili immagini e notizie che arrivano in questi giorni dall’Iraq ci presentano una realtà spesso dimenticata, quella dei cristiani perseguitati nel mondo. Come ultimamente viene più volte ricordato oggi i cristiani sono il gruppo più perseguitato ad ogni latitudine e il numero di testimoni e martiri è più numeroso che nei primi secoli. Di seguito un articolo del 25 agosto 2014 del missionario Piero Gheddo sulla situazione attuale in Iraq.
http://gheddo.missionline.org/ 

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6 maggio 2014
Un bell’ approfondimento di Alessandro D’Avenia al recente film La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, vincitore del premio Oscar per miglior film straniero. D’Avenia ci offre la risposta della fede a quella ricerca della grande bellezza che nel film nessuno trova: né Jep Gambardella, il protagonista, scrittore in crisi di ispirazione, immerso nel vortice della mondanità romana, né la serie di personaggi dai vari ambiti della odierna società romana, cultura, politica, spettacolo e chiesa. Alla luce della fede anche la più ordinaria esistenza può rimandare al trascendente: “La grande bellezza, la grandissima bellezza, è la trasfigurazione sacramentale del visibile, scovata dalla contemplazione nell’agire quotidiano, l’ancoraggio a Cristo nella giornata concreta, i cui gesti “risorgono”, i gesti tutti, e la loro grandezza non è determinata dal loro incerto successo ma dall’amore che vi scopriamo dentro e mettiamo dentro”.
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/grande-belezza-desiderio-e-risposta.aspx 

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27 gennaio 2014
L’Omelia di Papa Francesco a conclusione della settimana per l’unità dei cristiani ci ricorda come alla presenza di Cristo “diventiamo ancora più consapevoli che non possiamo considerare le divisioni nella Chiesa come un fenomeno in qualche modo naturale, inevitabile per ogni forma di vita associativa. Le nostre divisioni feriscono il suo corpo, feriscono la testimonianza che siamo chiamati a rendergli nel mondo”. L’impegno del Papa per il dialogo ecumenico si ispira all’opera dei suoi predecessori e sarà testimoniato con forza al prossimo incontro di maggio in Terra Santa tra il Papa e lo stesso Patriarca Bartolomeo, a cinquant’anni dallo storico abbraccio tra Paolo VI e Atenagora.
http://www.avvenire.it/Papa_Francesco/Omelie/Pagine/papa-settimana-unita-cristiani.aspx  

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10 ottobre 2013
È passato quasi un mese dalla 47esima Settimana Sociale dei Cattolici. Tema centrale: la famiglia quale soggetto protagonista nella Chiesa e non solo oggetto fruitore di servizi. Diversi gli aspetti emersi: il forte bisogno di solidarietà per non abbandonare la famiglia nella solitudine e difficoltà, la sua centralità nella vita comunitaria, l’impegno educativo, la tutela dei minori rispetto ai media, la famiglia come concreto luogo di accoglienza e vicinanza verso i soggetti più deboli ecc . Tutti obiettivi che non si possono delegare alle autorità ecclesiali, ma che tocca ai laici occuparsene in prima persona come evidenziato nell’articolo.
http://www.stpauls.it/jesus/1310je/settimanesociali.htm

Una lettura degli interventi del Papa che individua un filo unico tra la visita di Lampedusa, di Cagliari e di Assisi, chiamato il filo della custodia e della cura, a ribaltamento della diffusa mentalità individualistica. Il messaggio di Francesco ha centrato i problemi più urgenti del momento, attualizzando e attingendo ai contenuti della Dottrina Sociale della Chiesa.
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/la-dottrina-della-custodia-muolo.aspx

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1 ottobre 2013
Per conoscere Gesù, bisogna coinvolgersi con Lui. E’ quanto ricordato da Papa Francesco nella Messa del 26 settembre scorso alla Casa Santa Marta. Non si può conoscere Gesù in “prima classe”, ma nella vita quotidiana di tutti i giorni, ha affermato il Papa. Quindi ha indicato i tre linguaggi necessari per conoscere Gesù: “della mente, del cuore e dell’azione”. Conoscere Gesù con la mente, lo studio del Catechismo; conoscere Gesù col cuore, nella preghiera, nel dialogo con Lui. Questo ci aiuta abbastanza, ma non è sufficiente… C’è una terza strada per conoscere Gesù: è la sequela. Andare con Lui, camminare con Lui”.

http://www.vatican.va/holy_father/francesco/cotidie/2013/it/papa-francesco-cotidie_20130926_per-conoscere-cristo_it.html

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7 luglio 2013
Nelle semplici e, al contempo, straordinarie omelie quotidiane del Santo Padre nella messa quotidiana a Santa Marta, vi proponiamo quella del primo luglio 2013, in cui il Papa ci invita a pregare “negoziando” con Dio. Ma la possibilità della “negoziazione” è legata alla familiarità con Lui che ci abilita ad essere anche insistenti. Ecco il testo http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/text.html#3

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25 aprile 2013
Il Santo Padre Francesco nell’omelia tenuta presso la Basilica di S. Paolo Fuori le Mura a Roma, ci invita ad annunciare, testimoniare ed adorare. La sua prosa è al contempo semplice e profonda e ci richiama alle verità della nostra persona. Specie l’esortazione dell’adorazione ci sfida in modo personale e noi vogliamo accettare questa sfida. Ecco il testo: http://www.vatican.va/holy_father/francesco/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130414_omelia-basilica-san-paolo_it.html

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La Quaresima con Benedetto XVI
5 marzo 2013
La Via Crucis del venerdì Santo del 2005 era stata scritta dall’allora Cardinal Ratzinger: un testo sempre attuale:
http://www.vatican.va/news_services/liturgy/2005/documents/ns_lit_doc_20050325_via-crucis_it.html

21 febbraio 2013
Dopo l’inaspettato messaggio che annunciava le sue imminenti dimissioni,  a maggior ragione continuiamo su questa pagina a proporre le riflessioni del Santo Padre Benedetto XVI.
Ecco il suo messaggio per il sacro tempo di Quaresima: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages/lent/documents/hf_ben-xvi_mes_20121015_lent-2013_it.html

Ecco l’omelia della S. Messa delle ceneri: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2013/documents/hf_ben-xvi_hom_20130213_ceneri_it.html

Infine, per ora, nel nostro rimanere attoniti e stupiti del suo gesto di umiltà, il Papa ha come voluto darci una sorta di commovente testamento dicendoci che cos’è stato il Concilio per lui e che cosa deve essere per la Chiesa. Nell’ultimo incontro con il clero romano del 14 febbraio, il Papa, parlando a braccio ha condensato i suoi ricordi ed ha richiamato al significato del Concilio Vaticano II, senza nascondere le difficoltà e contraddizioni. In particolare i richiami più forti sono stati sulla concezione distorta di certa teologia e sulla profonda diversità tra il Concilio dei Padri e il Concilio dei media a cui spesso anche noi ci riferiamo. Ecco il link: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2013/february/documents/hf_ben-xvi_spe_20130214_clero-roma_it.html

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1 dicembre 2012
Il Papa sottolinea che la conoscenza di Dio attraverso la fede dona un gusto nuovo alla vita. Tale conoscenza non è irragionevole: il “Credo quia absurdum (credo perché è assurdo) non è formula che interpreti la fede cattolica. Dio, infatti, non è assurdo, semmai è mistero. Il mistero, a sua volta, non è irrazionale, ma sovrabbondanza di senso, di significato, di verità.” La ragione è insufficiente a vedere il mistero, che appare buio, ma la fede consente ciò che alla ragione è impedito. Buona lettura
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2012/documents/hf_ben-xvi_aud_20121121_it.html

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7 ottobre 2012
Ben tornati e ben trovati.
Riprendiamo, dopo la pausa estiva, questa rubrica di approfondimenti.

Quest’anno faremo leva sull’anno della fede che ci accompagnerà per un lungo tratto di strada.

Su tale tema ci sembra utile iniziare con un approfondimento che il Papa ha fatto partendo dallo slogan del Meeting di Rimini di quest’anno «La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito». Il Santo Padre ha approfondito la sorgente della domanda dell’uomo. “Parlare dell’uomo e del suo anelito all’infinito significa innanzitutto riconoscere il suo rapporto costitutivo con il Creatore” è l’incipit del suo messaggio e l’intervento è il dispiegarsi di una riflessione sulla natura dell’uomo, la sua ricerca dell’infinito anche attraverso “falsi infiniti”, e della sorprendente risposta di Dio attraverso Gesù Cristo. Il Papa afferma che “L’Infinito stesso, infatti, per farsi risposta che l’uomo possa sperimentare, ha assunto una forma finita. Dall’Incarnazione, dal momento in cui il Verbo si è fatto carne, è cancellata l’incolmabile distanza tra finito e infinito: il Dio eterno e infinito ha lasciato il suo Cielo ed è entrato nel tempo”.

Ed ecco il link http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages/pont-messages/2012/documents/hf_ben-xvi_mes_20120810_meeting-rimini_it.html

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25 luglio 2012
Le vacanze sono ormai alle porte e, chi più chi meno, ci affrettiamo a preparare le nostre cose per il periodo del riposo. Anche noi in questa rubrica vi abbiamo voluto preparare il nostro “menu” prima di lasciarci per qualche settimana. Questo menu è più ampio del solito perché, avendo più tempo davanti, ci sia la possibilità di un approfondimento più tranquillo.

Partiamo perciò con questo testo di don Camisasca che ci aiuta a guardare alle bellezze naturali che incontreremo nelle nostre vacanze, in cui il nostro sguardo sulla natura ci permette di intravedere, nel silenzio, il Mistero di Dio che si palesa. Lo sguardo sulla natura ci permette di “ritrovare quelle domande originarie, quell’originario stupore, quella pace vera che ci permette poi di diventare artisti, scienziati, padri e madri di famiglia, attori della storia umana”. La tradizione monastica ha sempre guardato alla natura come “a un velo da cui filtra la luce divina”. Di seguito il testo dell’articolo: http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/il-velo-divino-nel-silenzio-della-natura.aspx

Questo sguardo non può non tradursi nella domanda del Bello con la B maiuscola, ossia in una preghiera. La riflessione del Santo Padre ci riconduce a questa dimensione fondamentale che nel tempo della vacanza non solo non va abbandonata, ma va approfondita e resa più intima. Il Papa lega la preghiera con la gioia che nasce dall’avere gli stessi sentimenti di Cristo, che è l’amore. Ecco il link : http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2012/documents/hf_ben-xvi_aud_20120627_it.html

Uno dei punti più alti di amore è quello fraterno. Il Papa ci indica come punti di riferimento, Pietro e Paolo, fratelli nella fede, contrapposti a Caino e Abele e a Romolo e Remo. Nonostante la differenza dei loro caratteri, l’amore a e di Cristo li ha uniti in modo indissolubile. La loro vicenda umana è stata non sempre lineare (pensiamo ai tradimenti e ai fraintendimenti di Pietro o alla foga persecutoria di Paolo), ma è Cristo la Roccia della loro vita e su tale Roccia è basata la Chiesa e anche la nostra esistenza umana. Ecco il collegamento: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2012/documents/hf_ben-xvi_hom_20120629_pallio_it.html

Come esempio contemporaneo di questa saldezza umana e disponibilità totale, Marina Corradi ci propone la vicenda umana di don Didimo Mantiero sacerdote vissuto nel XX secolo e morto nel 1992. Don Didimo ha affrontato molte vicissitudini (guerra, fascismo, ecc.), ma sempre attaccato alla sua vocazione e ai suoi ragazzi. In particolare fattore singolare che accompagnerà la sua vita è l’offerta di sé in “sostituzione” di un altro: dapprima sperimentata su di sé e poi sperimentata dai suoi ragazzi della “Dieci” a favore della comunità. L’allora Prof. Ratzinger, profondamente colpito dall’esperienza di don Didimo, ha così descritto tale “sostituzione”: “L’idea di «sostituzione» è un dato originale della testimonianza biblica, la cui riscoperta nel mondo attuale può aiutare la cristianità a rinnovare e approfondire in modo decisivo la coscienza che ha di se stessa”. Ecco l’articolo: http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/il-prete-di-bassano-fra-bernanos-e-don-camillo.aspx

Infine, vogliamo riproporvi la Lettera apostolica “Porta fidei” con cui il Papa ha indetto l’anno della fede. Questo testo è un po’ l’aperitivo del percorso che ci attende per il prossimo anno. Noi siamo “innestati” nell’amore trinitario dal battesimo, ma questo essere “innestati” va rinvigorito nel riandare alla sorgente di quella fede: il Signore Gesù Cristo. E’ questa la ragione che il Papa usa nell’indire l’anno della fede. Ecco il link: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/motu_proprio/documents/hf_ben-xvi_motu-proprio_20111011_porta-fidei_it.html

Buona lettura e buone vacanze

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13 luglio 2012
Nel mese in cui la Chiesa ricorda la Vergine del Carmelo un articolo di Ludmila Grygiel illustra l’ethos femminile nella vita e negli scritti di una eccezionale donna del 900, Edith Stein, santa carmelitana e patrona d’Europa. Un breve accenno al percorso che portò la nota filosofa ebrea alla fede e al cattolicesimo e al progressivo approfondimento della riflessione sulla donna, dal femminismo a Maria, di pari passo con la personale maturazione della scelta di consacrazione a Dio sino al dono totale della sua vita ad Auschwitz.
http://kairosterzomillennio.blogspot.it/2012/08/teresa-benedetta-della-croce-lethos.html

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15 giugno 2012
Il lavoro è un concetto che l’esperienza cristiana ha valorizzato come centrale dell’esperienza umana. I latini contrapponevano l’”otium” al “negotium” che era la negazione dell’”otium”. Invece i cristiani hanno imparato da Gesù che ha lavorato con le sue mani per gran parte della sua vita, del grande valore del lavoro.
Il Santo Padre durante l’omelia di domenica 3 giugno scorso nell’ambito dell’Incontro mondiale delle famiglie ha sottolineato che «nel libro della Genesi, [] possiamo leggere il compito dell’uomo e della donna di collaborare con Dio per trasformare il mondo, attraverso il lavoro, la scienza e la tecnica. L’uomo e la donna sono immagine di Dio anche in questa opera preziosa, che devono compiere con lo stesso amore del Creatore. Noi vediamo che, nelle moderne teorie economiche, prevale spesso una concezione utilitaristica del lavoro, della produzione e del mercato. Il progetto di Dio e la stessa esperienza mostrano, però, che non è la logica unilaterale dell’utile proprio e del massimo profitto quella che può concorrere ad uno sviluppo armonico, al bene della famiglia e ad edificare una società giusta, perché porta con sé concorrenza esasperata, forti disuguaglianze, degrado dell’ambiente, corsa ai consumi, disagio nelle famiglie. Anzi, la mentalità utilitaristica tende ad estendersi anche alle relazioni interpersonali e familiari, riducendole a convergenze precarie di interessi individuali e minando la solidità del tessuto sociale.»
Con quest’ottica, Padre Aldo Trento in questo articolo cerca di ripensare al lavoro, e al lavoro cristiano in particolare, come fattore di dignità umana grande, dove il salario è un elemento importante ma non fondante. E’ il lavoro ben fatto in sé, l’amore alla perfezione nella opera lavorativa che rende umano, cioè cristiano, il lavoro; al punto che “lavorare è pregare”. La prosa di Padre Aldo è graffiante e quindi non ci lascia tranquilli ma ci interroga. Lasciamoci quindi interrogare…
http://www.tracce.it/detail.asp?c=1&p=1&id=28360

Come la fede risponde alle nostre domande? E come è vissuta questa fede dai cristiani? Il Santo Padre, nel discorso tenuto il 24 maggio 2012 durante l’assemblea generale della CEI, si pone queste questioni in paragone alla situazione della nostra società contemporanea, dando in tal modo la ragione al fatto di indire l’anno della fede.
“Il patrimonio spirituale oggi non è più compreso nel suo valore profondo” a causa del travalicare dal proprio ambito della razionalità scientifica e della cultura tecnica, così che “il potere delle capacità umane finisce per ritenersi la misura dell’agire, svincolato da ogni norma morale”. Di fronte a ciò, molti credenti “hanno smarrito identità ed appartenenza” riducendo la fede a fatto intimo e soggettivo. Ma la fede (il regno) “non è un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzi tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio invisibile”. Di fronte a questa situazione che cosa si può fare? Si tratta di “ripartire da Dio, celebrato, professato e testimoniato” attraverso il rinnovamento della fede e della preghiera. Così si sarà capaci di testimoniarlo. Tutto ciò incide sul nostro agire fino a “sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse che sono in contrasto con la Parola di Dio”. La nostra missione è di annunciare che con l’amicizia di Cristo “l’uomo sperimenta di essere oggetto di un amore che rende capaci di amare e di servire l’uomo con amore divino”. Buona lettura
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2012/may/documents/hf_ben-xvi_spe_20120524_cei_it.html

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21 aprile 2012
L’omelia del Papa per il suo 85° compleanno è una riflessione sulla sua vita e una proposta a noi cristiani e agli uomini. Il Papa “rilegge” i segni legati alla sua nascita: i santi del giorno (S. Bernadette e S. Benedetto Giuseppe Labre) e il fatto che quel giorno era il Sabato Santo, il sabato del silenzio di Dio. Ecco il link dell’omelia:
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2012/documents/hf_ben-xvi_hom_20120416_85-bxvi_it.html

Due elementi colpiscono: L’affermazione finale di fede del Papa: “Mi trovo di fronte all’ultimo tratto del percorso della mia vita e non so cosa mi aspetta. So, però, che la luce di Dio c’è, che Egli è risorto, che la sua luce è più forte di ogni oscurità; che la bontà di Dio è più forte di ogni male di questo mondo. E questo mi aiuta a procedere con sicurezza”. E, nella breve descrizione della storia di S. Benedetto Giuseppe Labre, la sottolineatura che “solo Dio basta”.

A questo proposito proponiamo anche l’ascolto della canzone “Nada te turbe” interpretata da Giuni Russo:
http://www.youtube.com/watch?v=zlG8HUPyPTY

Le parole sono di S. Teresa d’Avila la cui traduzione è: “Nulla ti turbi, nulla ti spaventi / A chi è vicino a Dio non manca nulla, / Tutto passa, Dio non cambia, / La pazienza ottiene ogni cosa / Dio solo basta”. Riascoltando l’interpretazione, specie nel punto di “Dios solo basta” un brivido non può non coglierci: Giuni riesce a far percepire l’Abisso che ci prende e ci abbraccia.
Buona lettura e buon ascolto.

Link per una pausa caffè


26 gennaio 2015
A duecento anni dalla sua nascita, Don Bosco è ancora una viva ed importante figura di riferimento per tutti coloro che sono impegnati nell’educazione dei più giovani. Di seguito un bel ritratto dello speciale rapporto che legava Don Bosco e i suoi ragazzi.
http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=131888

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26 agosto 2014
Un decalogo di buoni consigli firmati Papa Francesco per ricominciare alla grande dopo le vacanze!
http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/Il-decalogo-di-papa-Francesco-per-vivere-bene.aspx 

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6 maggio 2014
Un piccolo manuale di preghiera è quello proposto da Papa Francesco in una delle meditazioni quotidiane. “…è importante parlare con il Signore, non con parole vuote – Gesù dice: ‘Come fanno i pagani’. No, no: parlare con la realtà” spiega il Papa partendo dal dialogo di Mosè con Dio sul Sinai. Una preghiera che può arrivare addirittura a negoziare con Lui, con libertà, coraggio ed insistenza, come un dialogo sincero con un amico.
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2014/documents/papa-francesco-cotidie_20140403_amico-con-cui-pregare.html 

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27 gennaio 2014
Un recente breve saggio dal titolo “Contro il Giorno della Memoria” di Elena Lowenthal, scrittrice e studiosa di ebraismo (qui alcuni passaggi pubblicati da La Stampa), ha suscitato negli ultimi giorni varie reazioni nei confronti della provocatoria ed amara riflessione dell’autrice sull’utilità della ricorrenza del 27 gennaio Giornata della Memoria. Al comprensibile desiderio di oblio di una vicenda storica troppo orrenda per chi l’ha vissuta da vicino o attraverso i ricordi del propri familiari, si affianca tuttavia per tutti noi la necessità, se non il dovere, di non dimenticare, di combattere l’ignoranza, la banalizzazione del male e di ogni forma di cieca e ottusa chiusura nei confronti di tutto ciò che è diverso dalla nostra rassicurante normalità.
http://www.lastampa.it/2014/01/16/cultura/contro-il-giorno-della-memoria-GKkosn3Gh3Ddz5qNYBOQMJ/pagina.html

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29 maggio 2013
Riportiamo l’omelia che il SANTO PADRE ha svolto durante la celebrazione in Santa Marta il 18 maggio dove ha ricordato che… chiacchierare e’ peccato. Ma prima di ingoiare la lingua dopo aver letto questa affermazione, leggete l’articolo e la distinzione sui tipi di chiacchiere non costruttive: “disinformazione, diffamazione e calunnia”
http://www.avvenire.it/Papa_Francesco/santmarta/Pagine/omelia-santa-marta-18-maggio.aspx
…. e comunque, a difesa della categoria femminile, ricordiamo che se al sepolcro non ci fossero state delle donne… la notizia della resurrezione si sarebbe diffusa meno velocemente.

Negli ultimi tempi la sfida a valori come quello della vita e della famiglia sembra essersi intensificata. Aborto, eutanasia, nozze gay, diritti umani, libertà, scelta, teorie di gender, educazione, sessualità. Quando si mettono in discussione valori così grandi non può che crearsi una gran confusione. Il compito non solo del cristiano, ma di tutti, è oggi quello di informarsi e di difendere con chiarezza i principi non negoziabili come già ci ricordava Papa Benedetto XVI il 30 marzo 2006 “I princìpi non negoziabili non sono verità di fede, anche se sono illuminati e confermati dalla fede; sono insiti nella natura umana, e pertanto comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nella loro promozione non è quindi confessionale, ma si dirige a tutte le persone indipendentemente dalla loro affiliazione religiosa”.
http://www.culturacattolica.it/detail.asp?c=1&p=1&id=2188&key=0

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24 marzo 2013
Segnaliamo un articolo/intervista a Don Carlo Rocchetta che da dieci anni guida la struttura “Casa della tenerezza” di Perugia impegnata nella formazione e nell’accompagnamento di fidanzati, coniugi in difficoltà, separati, ragazzi problematici … “la tenerezza non è tenerume ma la capacità di prendersi cura di tutti con il sorriso e con un atteggiamento costruttivo”
http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/intervista-rocchetta.aspx

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13 dicembre 2012
Mentre ci apprestiamo a preparare il presepe, è bello ricordare che fu proprio S. Francesco con la sua semplicità e originalità a rappresentarlo per la prima volta, dopo un’ inspiegabile mancanza di creatività di ben mille anni! http://www.giovani.org/grata-elettronica/?id=1380

A proposito di CCCP, che è anche l’acronimo di Commissione Cultura della Comunità Pastorale, ma non solo!
Lo sapevate che in Italia c’è stato un gruppo rock che si chiamava “CCCP Fedeli alla linea”? No? Eccovi il sito: http://www.cccp-fedeliallalinea.it/ e qui ciò che riporta wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/CCCP_Fedeli_alla_linea
Perché ve lo segnaliamo? Il fondatore dei CCCP è Giovanni Lindo Ferretti che, dopo la caduta del muro, e dopo aver sciolto i CCCP e riproposto un nuovo gruppo chiamato CSI fino al 2000, fondò infine una nuova band rock: i PGR letteralmente i Per Grazia Ricevuta. Dio lo aveva toccato. Insomma vale il detto DADV (Dio Agisce Dove Vuole). Ha collaborato anche con Avvenire. Ecco il link ad una sua intervista all’Osservatore Romano http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/interviste/2010/004q04d1.html

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1 dicembre 2012
Sabato scorso molti di noi hanno partecipato alla “Colletta del Banco Alimentare” o come volontari o semplicemente dando una parte della propria spesa a chi ha bisogno e fatica ad arrivare a fine mese.
Sediamoci un momento, prendiamoci un buon caffè e leggiamoci una breve storia curata, da Antonio Socci, su come e da dove è nata la Colletta.
http://www.antoniosocci.com/2012/11/la-nostalgia-di-quellabbraccio/

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2 novembre 2012
Il mese di Novembre si apre con la festa di Ognissanti che ci offre la possibilità di riflettere ancora una volta sul nostro essere cristiani e parte della Chiesa. La Chiesa, ha ripetuto oggi il Pontefice, è il luogo della fede e, “malgrado le sue debolezze e i suoi limiti, i cristiani che si lasciano guidare e formare dalla fede della Chiesa diventano come una finestra aperta che riceve la luce divina e la trasmette al mondo”.
“La tendenza, oggi diffusa, a relegare la fede nella sfera del privato – ha concluso il Papa – contraddice quindi la sua stessa natura. Abbiamo bisogno della Chiesa per avere conferma della nostra fede”. Ci interroghiamo quindi sulla santità, ma noi ci crediamo ancora?
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/un-bel-giorno-da-capire-e-vivere-di-nuovo.aspx

All’inizio del nuovo anno il noto regista Pupi Avati propone una nuova fiction dedicata a un’immagine realistica della famiglia e dai valori autentici, andando controcorrente rispetto a quanto ci viene spesso proposto dal grande e piccolo schermo. Ci sembra giusto segnalare un prodotto di qualità perchè come diceva S. Paolo “Vagliate tutto, trattenete ciò che vale”.
http://www.avvenire.it/Spettacoli/Pagine/pupi-avati-fiction-matrimonio.aspx

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3 luglio 2012
Che casa c’entra il calcio con la fede? C’entra, c’entra!
Antonio Socci riprende un vecchio scritto del Papa, quando era ancora cardinale, in cui riflette sul significato del gioco in relazione al destino dell’uomo. Ed anche l’umile attività oratoriana di far giocare a pallone i bambini è un segno del divino tra di noi. Allora godiamo di più, pur se sconfitti, l’aver potuto seguire i Campionati Europei di calcio anche attraverso questa lettura.
http://www.antoniosocci.com/2012/07/un-gioco-divino/

Don Luca Raimondi - Pensieri in libertà

Pensieri in libertà 1

29 ottobre 2011
Dopo Domenica 23 ottobre 2011…

Ho promesso a Cristiano (che cura il sito della Comunità Pastorale) che gli avrei mandato questo scritto entro oggi (sabato 29) e sto adempiendo alla mia promessa, anche se Cristiano al sito ci lavora di sabato, in giornata, mentre io sto scrivendo alle 21,28… ma stanotte cambia l’ora e si guadagna sonno!
Comunque scrivo anche perchè ora posso farlo in tranquillità.
Non c’è nessuno che mi suona alla porta per chiedere soldi, il telefono tace e anche il cellulare.
Il mio studio è in silenzio. qualche messaggio da qualcuno che mi vuole bene, rispondo in fretta agli SMS e… silenzio.
Anzi, non proprio, parte la colonna sonora del gruppo musicale che amo di più: i Nomadi.
E così con le note struggenti di musica amica mi lascio andare alla tastiera del PC. Preferisco la penna, ma con la penna non potrei far dono di questi deliri di un giovane curato ai più. E invece questa è la mia idea di stasera e, se vi va, anche dei prossimi anni (fatemelo sapere). Trovare tempo per raccontare e raccontare fuori dal ruolo, dagli schemi, senza scadenze… insomma solo perchè ne hai voglia e quindi in libertà.
Dio, quanto la amo questa parola!

E allora le dita scorrono nonostante il bis di polenta col formaggio deliziosamente offerta dagli alpini dopo la messa in ricordo di don Gnocchi. E il vinello, sincero e schietto, veramente buono.
Rimango sempre colpito dal virile affetto che mi dimostrano gli alpini, dai loro abbracci, dagli occhi lucidi e carichi di ringraziamento.

Ma stasera devo parlare di sabato e domenica scorsa: abbiamo salutato don Davide. Ieri (venerdì 28) alle 19,49 mi arriva un SMS da don Davide dal Brasile: “…arrivato sono arrivato. Il bello comincia ora. Ciao.”
E penso a sabato sera in Duomo a quando Davide riceve il crocifisso e io mi sento un nodo in gola, contento di quel suo bacio al crocifisso che riceve dal Cardinale. Ripenso con gioia alle mie amicizie nella cattedrale che mi hanno permesso di sistemare i giovani sull’altare e gli adulti di fianco al vescovo così che tutti potessimo far sentire un abbraccio d’amicizia a don Davide.
Sulla messa di domenica non dico nulla perchè direi cose che non si possono interpretare fino in fondo. Bisognava esserci, conoscere da tre anni le persone che c’erano e guardarle in silenzio. Io non ho voluto parlare (quindi se la messa è stata lunga, io non c’entro) e gustare la bellezza di quello che vedevo e dei pensieri che mi passavano per la mente.
Al di là dei fiumi di lacrime e di emozioni io ho detto grazie a Cristo.
Un’amicizia è una bella cosa.
E ho visto gente commuoversi perchè salutava una persona che ha donato due cose fondamentali: ha parlato di Cristo e ha voluto bene.
E allora ho pensato: “ma noi dobbiamo fare solo questo!”.
E prego perchè chi ha goduto di questo dono e si è lasciato affascinare, non perda il gusto di quella emozione e la trasformi in scelta di vita.
L’ho detto anche l’altra sera ai giovani.
Domenica 23 ottobre ho visto la comunità pastorale per la quale, un pochino, credo di darmi da fare, da tre anni a questa parte.
Già una comunità, come una famiglia e ciascuno di noi, non cresce e non matura se non soffre per qualche distacco.
Paradossalmente è il distacco da alcune persone che ti obbliga a stare in piedi da solo, in piena autonomia e senza scuse di disimpegno.
Cari amici, facciamo tesoro di questo.
Non basta indignarsi con ciò che non và. Occorre non rassegnarsi e fare quello che possiamo, nel nostro piccolo, per rendere questa comunità luogo dello Spirito di Dio.
Le liti, le critiche, i pettegolezzi, le difficoltà… ci saranno sempre.
Frègatene di tutto ciò e va’ ma… non camminare adagio, corri perchè dobbiamo darci da fare per essere ciò che Cristo vuole da noi.
Ciao Davide, mi scrivi: “Il bello comincia ora“.
Beh, anche per noi!

Ciao, don Luca

Pensieri in libertà 2

3 dicembre 2011
Strada facendo vedrai, che non sei più da solo…

E’ sabato sera e poco fa ho cantato a squarciagola.
E’ stato uno spettacolo bellissimo: su RAI3 a “Che tempo che fa” c’era ospite Claudio Baglioni. Ho cantato anch’io… non ho mai amato tantissimo Baglioni, ma quando è partita “Strada facendo”… beh, sono partito anch’io! Luogo del concerto: la mia cucina, davanti al televisore. Pubblico: mio papà e mia mamma, coinvolti e attoniti. Non ce l’ho fatta a non cantarla. Nel 1981, quando entravo in seminario, usciva questa canzone… e per me sentirla allora significava sognare, sognare il mio futuro; volevo fare il prete e avevo davanti undici anni di studio… se poi fosse stata davvero quella la mia strada.
E allora, con i miei compagni di seminario, cantare “Strada facendo, vedrai…”, significava affidarsi ad un sogno. E stasera scopro che il sogno e la strada continuano e che allora non eravamo degli adolescenti invasati ma semplicemente dei ragazzi che avevano voglia di sognare. E ce l’hanno ancora.
“Strada facendo, vedrai…” mi fa pensare alla strada fatta in queste quattro settimane nelle quali abbiamo ripreso l’avventura di visitare le famiglie per il Natale.
Ho usato il plurale non con senso maiestatico, ma perché la visita natalizia non è più affare solo del parroco e neanche soltanto dei suo collaboratori preti: è affare della comunità cristiana che, secondo il Concilio, è fatta dal clero, dai religiosi/e e dai laici.
E siamo partiti.
Sarà interessante rileggere, alla fine del percorso, le emozioni vissute dai laici che per la prima volta hanno condiviso questo servizio alla comunità.

Stasera mi permetto di rileggere qualcosa della mia esperienza di quest’anno nella visita alle famiglie.
Parto da lontano, da ciò che mi ha pure divertito.
Sì, perchè girare per le case è innanzitutto un’esperienza divertente.
Ma ti capita di tutto!
In primo luogo, lo confesso (soprattutto le prime sere, con le villette isolate, al buio), i cani!
Ora, io capisco che uno tenga un cane per amore dell’animale e questa è una cosa nobile. Così rispetto chi ha cura di questi amici a quattro zampe e li tratta con il dovuto rispetto.
Però, scusate, voglio spezzare una lancia in favore di quelli che vanno a suonare il campanello di chi ha un cane, soprattutto se il cane assomiglia ad un leone sia per dimensioni che per ferocia. E’ davvero un’esperienza che ti fa trattenere il fiato.
La frase ricorrente è: “No, entri, non fa niente”. “Già, a te che lo conosci, ma ti rendi conto che l’animale, povero, si vede davanti uno con una veste nera che svolazza e diventa come il toro nella corrida?”
Quindi, dico a chi ha un cane, specie di dimensioni notevoli: “Bravi, tenetelo da conto però, se arriva un postino, un messo del comune, uno che porta il pane e magari un prete… non si può legarlo un attimo?”
Voi ridete ma ora sapete perchè ho aumentato i capelli bianchi in questi anni!

Poi ci sono situazioni divertenti per le più svariate situazioni.
Una sera, accompagnato da Beatrice ed Erika, siamo entrati in casa di una signora originaria della Campania. Lei parlava napoletano e la badante moldava non spiccicava una parola in italiano. Davanti alla nostra domanda. “Ma come fate ad intendervi?” La risposta consistette in un grosso abbraccio e una fila di baci alla badante: “E’ na’ brava guagliona!” E giù baci a manetta alla moldava, tutta contenta di farsi coccolare e noi contenti di vedere come il linguaggio degli affetti veri superi le barriere tra il golfo di Napoli e l’ex Unione Sovietica.
E così è stata interessante l’espressione della signora che voleva farmi vedere che aveva imparato la lezione degli anni scorsi, quando invitavamo a benedire i figli con l’acqua santa il giorno di Natale. Lei se ne esce convinta, dopo la mia benedizione: “Don Luca, non si preoccupi il giorno di Natale benediremo i nostri figli, come ci ha insegnato lei, con l’acqua ossigenata!”
Non mi è importato di fargli notare la differenza tra acqua “santa” e “ossigenata”… non importa, ho solo timore di vedere in chiesa, a S. Stefano, un ragazzino moro con una striscia bionda, evidente passaggio di acqua che santa non è. Ma va bene così… quando c’è la fede va bene tutto.
E potrei andare avanti: quelli che ti aprono la porta e vedono uno con la veste nera fino ai piedi, ti misurano la stoffa con lo sguardo, ti squadrano e ti chiedono: “Ma lei è un prete?” E ti viene voglia di rispondere: “No, metto la gonna per sentirmi solidale con le minoranze discriminate, vuole fare una firma contro il razzismo culturale di ogni specie?”
Ma anche dietro queste domande, scopri una curiosità che arriva poi al dialogo, all’interesse e qualche volta alla fede.
E allora arriva il bello…

E’ bello sentirsi accolti con grande affetto. A volte trovo gente che mi abbraccia e mi bacia. Altri che subito si giustificano nella loro esultanza di vederti: “Guardi io avrei accolto anche i laici, però è qui lei…”
Altri (e lo dico con meraviglia, non pochi!), fieri di aver letto “IL SOFFIO”, mi aprono la porta ed esclamano: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”
Poi ho notato molti rifiuti, in una terra che si autodefinisce “Brianza cattolica”.
Forse dobbiamo ribattezzarla in altro modo?
Più del previsto, oltre quelli di altre religioni (che calore d’accoglienza i musulmani!), ci sono alcuni che dicono: “No, guardi, non m’interessa, non siamo credenti”.
Ma non lo dico con rammarico, è una risposta onesta di chi non vuole prenderti in giro. Tanti altri ti dicono: “Entri, prego faccia pure”. Come se tu fossi in giro e preso da un impellente bisogno cercassi un bagno!
Sì, preferisco chi mi dice con onestà che non crede.
E quando tu gli offri comunque la mano e gli fai gli auguri, scopri il sorriso di chi non si sente giudicato perchè non la pensa come te.
E tu vai a casa e preghi per quella famiglia che non ha voluto pregare con te, perchè il Signore li accompagni, Lui solo che conosce cosa hanno nel cuore gli uomini.
E poi una sera meravigliosa: suono, mi apre una giovane donna straniera con un bimbo. Parla molto bene l’italiano e mi dice. “Guardi, noi non siamo sposati e conviviamo, con un figlio. Non so se lei ci darà la benedizione. Non siamo a posto davanti a Dio e alla Chiesa. Lei non ce lo battezza il figlio, vero?”
La guardo e balbetto: “Anch’io non sono a posto per Dio e per la Chiesa. Sono un povero uomo che dovrebbe essere un prete migliore di quello che è. Mi sforzo di essere migliore ma non ce la faccio. Gesù Cristo ha pietà di me, come di te. Però se noi due stiamo insieme, due non a posto fanno uno a posto, no? Allora, io adesso ti benedico, poi venite a trovarmi, battezziamo il bimbo e parleremo del vostro matrimonio, che si farà”.
Sorrisi e umanità.
Quella sera sono andato a casa con una serenità nuova nel cuore.
Camminavo e non mi venivano le parole giuste per definire quell’incontro. Stasera mi vengono:

   “Strada facendo vedrai, che non sei più da solo,
strada facendo vedrai un gancio in mezzo al cielo
e sentirai la strada far battere il tuo cuore,
vedrai più amore vedrai!”

Ciao, don Luca

Pensieri in libertā 3

8 febbraio 2012
Due donne che mi fanno impazzire!

Giā immagino i commenti al titolo di questi pensieri in libertā!
Ma č cosė, e non puō non essere cosė, se in queste due domeniche uno va a messa e ascolta con attenzione il Vangelo. Due Vangeli che sono due “buone notizie” (questo significa evangelo, in greco) che parlano di due donne.
E non ci si puō non innamorare di due donne cosė!

La prima donna l’abbiamo incontrata domenica 5 febbraio (giornata per la vita) e la seconda la incontriamo domenica 12 febbraio (giornata della solidarietā).
Ecco il primo racconto dal vangelo secondo Matteo al capitolo 15:

[21] Partito di lā, Gesų si diresse verso le parti di Tiro e Sidone.
[22] Ed ecco una donna Cananea, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: “Pietā di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia č crudelmente tormentata da un demonio”.
[23] Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i discepoli gli si accostarono implorando: “Esaudiscila, vedi come ci grida dietro”.
[24] Ma egli rispose: “Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele”.
[25] Ma quella venne e si prostrō dinanzi a lui dicendo: “Signore, aiutami!”.
[26] Ed egli rispose: “Non č bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”.
[27] “È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”.
[28] Allora Gesų le replicō: “Donna, davvero grande č la tua fede! Ti sia fatto come desideri”. E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Tralascio il commento per intero a questo Vangelo che dona molti spunti. Mi piace sottolineare una cosa soltanto (che in predica ho accennato): la definizione di amore che questa donna cananea ci aiuta a trovare.
L’atteggiamento di Gesų verso la donna puō sembrare all’inizio quello di un perfetto mascalzone, arrogante e maleducato: non si degna di rivolgerle la parola, si allontana con motivazioni strane e arriva addirittura ad insultarla. In realtā c’č un perché dietro l’atteggiamento di Gesų: egli si comporta come il perfetto israelita del suo tempo. Per gli israeliti di allora, gli stranieri erano denominati “cani” semplicemente perché fuori dalla cerchia del popolo eletto; erano per di pių pagani e quindi considerati idolatri. Chiunque, tra i maestri in Israele, si sarebbe comportato cosė.
Eppure questa donna straniera da prima ignorata, poi allontanata con buone maniere e infine insultata (non si da il pane dei figli ai cagnolini) supera se stessa e chiunque tra quelli che Gesų ha incontrato fino ad ora.
Lei ha un un’unica preoccupazione: sua figlia č malata di qualcosa che non si riesce a spiegare (“crudelmente tormentata da un demonio”).
E quando Gesų arriva a farle vedere di quale disprezzo č capace l’uomo quando alza steccati religiosi e sociali verso qualcuno, arriva a fare un gesto e un’affermazione che hanno dell’incredibile.
Innanzitutto si prostra a terra come lo schiavo davanti al padrone. E poi dice a Gesų: “È vero Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”.
Dietro questa risposta c’č la definizione d’amore che vi dicevo.
Questa donna č lė, completamente “zerbinata” e pronta a farsi dire di tutto, ma per quale motivo? Semplicemente e straordinariamente per l’amore che ha per sua figlia.
Giā, prende la sua dignitā, il suo orgoglio, la sua “realizzazione” e si mette tutto sotto i piedi.
C’č un motivo pių importante: sua figlia!
E questa definizione d’amore č solo nel Vangelo.
L’insegnamento che commuove Gesų č questo: quando ami (chiunque ami, tuo marito/moglie, i tuoi figli, i tuoi amici, la tua ragazza/o, le persone in genere) l’altro viene prima di te.
Noi, infarciti di orgoglio e di parole come “dignitā” e “questione di principio”, abbiamo smesso di credere all’amore che si perde per l’altro.
E questa donna ce lo insegna da capo: per amore si puō perdere se stessi.
Nel momento in cui ti senti abbandonato, avvilito, tradito anche, c’č una storia d’amore con quella persona che conta pių di tutto. Non puoi rinunciare ad essa solo perchč qualcosa di te č stato ferito. Certo soffrirai, come la cananea prostrata nella polvere, ma sarā solo la memoria di un amore grande a darti la forza di accantonare tutto, anche te stesso, per amore e solo per amore, gratuito e disinteressato. Non so se sia proprio questo l’amore che respiriamo in questa societā fluida e complessa, ma certamente l’amore di cui ci parla questa donna straniera č solido e paradossalmente semplice.
Ti amo perchč tu stai prima di me, sei dentro di me, pių di qualsiasi cosa di questo mondo e pių dei sentimenti negativi e scoraggianti che possono emergere.

Domenica 5 febbraio, dopo aver commentato questo vangelo, mi sono ritrovato come al solito, la sera, ad aspettare la Littizzetto, su Rai 3. C’era Roberto Saviano che presentava un libro di una poetessa polacca dal nome impronunciabile, Wis¬lawa Szym¬borska, che s’intitola “La gioia di scrivere”. Saviano introduceva questo libro dicendo che la fatica letteraria di questa poetessa č stata quella di raccontare l’amore felice e l’ha definito “l’amore che basta a se stesso”. Giā, l’amore infelice č facile da raccontare come da inseguire poiché basta arrendersi alla prima difficoltā; invece l’amore felice č difficile da raccontare e da praticare perchč richiede il primato dell’altro sulla tua vita.
Questa donna polacca al termine di una sua poesia d’amore dice:

“Ascolta come MI batte forte il TUO cuore”.

Ciō che č tuo batte in me pių forte di ciō che č mio; tu sei dentro di me pių di tutto!
Che donna meravigliosa questa polacca, come… la Cananea.

E poi un’altra donna e anche di questa non sappiamo il nome…capitolo 7 del Vangelo di Luca:

[36] Uno dei farisei lo invitō a mangiare da lui. Egli entrō nella casa del fariseo e si mise a tavola.
[37] Ed ecco una donna, una peccatrice di quella cittā, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; [38] e fermatasi dietro si rannicchiō piangendo ai piedi di lui e cominciō a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato.
[39] A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensō tra sé. “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna č colei che lo tocca: č una peccatrice”.
[40] Gesų allora gli disse: “Simone, ho una cosa da dirti”. Ed egli: “Maestro, dė pure”.
[41] “Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta.
[42] Non avendo essi da restituire, condonō il debito a tutti e due.
Chi dunque di loro lo amerā di pių?”.
[43] Simone rispose: “Suppongo quello a cui ha condonato di pių”.
Gli disse Gesų: “Hai giudicato bene”.
[44] E volgendosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna?
Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi;
lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli.
[45] Tu non mi hai dato un bacio,
lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi.
[46] Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi.
[47] Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato.
Invece quello a cui si perdona poco, ama poco”.
[48] Poi disse a lei: “Ti sono perdonati i tuoi peccati”.
[49] Allora i commensali cominciarono a dire tra sé:
“Chi č quest’uomo che perdona anche i peccati?”.
[50] Ma egli disse alla donna: “La tua fede ti ha salvata; vā in pace!”.

Il Vangelo dice genericamente che quella donna era una peccatrice. Sappiamo che questo č un termine per dire che era una prostituta.
La prostituzione in Israele non era solo un peccato contro la morale ma aveva delle inclinazioni religiose e quindi sociali. Quando Israele si svende agli idoli, i profeti parlano di prostituzione del popolo. Nella terra di Canan il culto del dio Baal prevedeva l’unione con sacerdoti e sacerdotesse che erano chiaramente prostituti/e sacri. La prostituzione, quindi, evocava il peccato ancora pių grave dell’idolatria denunciata dai profeti e, prima ancora, dallo stesso e grande Mosč.
Ecco perché la prostituta, e chi si accostava ad essa, era considerata peccatrice per antonomasia; emarginata da qualsiasi contesto religioso e sociale. Bastava toccarne una ed eri considerato immondo, come un lebbroso!
E per questo che mi fa impazzire il gesto che questa donna compie (insieme, ovviamente, al coraggio di Gesų che la lascia fare).
Un’azione fatta con tre simboli eloquenti: lacrime e capelli, baci, olio profumato.
Si butta sui piedi di Gesų (i piedi nella bibbia hanno una forte connotazione sessuale) e li lava con le sue lacrime. Noi quando dobbiamo far colpo su qualcuno cerchiamo di dare il meglio di noi stessi, “mostriamo i muscoli”, cerchiamo di apparire al meglio. Lei no: piange.
I capelli per una donna sono simbolo di orgoglio femminile. Lei li usa come stracci per asciugare.
Mi fa impazzire questo amore di chi ama perchč ammette la sua fragilitā.
Perchč ai muscoli dell’orgoglio preferisce mostrare le ferite.
L’amore vero si presenta con il vestito dell’intimitā fragile donata all’altro.
E poi bacia.
Chissā quanti baci ha dispensato una cosė. Chissā quanti corpi avrā toccato.
Ma quei Baci sono diversi e Gesų se ne accorge.
Quei baci dicono l’esclusivitā. Avrā potuto baciare anche mille uomini, ma gli unici veri baci della sua vita sono questi. Sė, perchč sono i soli veri baci, dati all’unico e vero, grande, amore. Sono i baci di chi ha coscienza che, prima che con chissā quali organi, si ama innanzitutto con il cuore e con la mente. E il cuore e la mente non si possono svendere: sono destinati ad un unico e grande amore.
Ed infine versa olio profumato sui piedi di Gesų. L’olio č un grande simbolo. È prodotto dal frutto di una pianta secolare che impegna nella fedeltā.
È profumato perchč impregna chi lo riceve di un senso di appartenenza a chi lo dona.
Lei č stata di molti, ma non č mai appartenuta a nessuno. Ora chiede a Gesų di appartenerle.
Di essere suo, per sempre.
La peccatrice scopre definitivamente che la forma pių bella di libertā č quella di appartenere a qualcuno, di lasciarsi appartenere da qualcuno.
L’amore, che č il frutto pių bello della libertā, arriva al suo scopo.

Due donne che mi fanno impazzire!
Sė perchč sono esagerate nei gesti, nelle parole, nelle intenzioni che sembrano ridicole e fuorvianti a chi preferisce la razionalitā fredda, il calcolo misurato, la mediazione dei sentimenti, il falso pudore di chi non esprime mai esteriormente ciō che prova in veritā.
L’amore di queste due donne (per me “sante subito” anzi “sante prima di subito”) invece č l’esagerazione del perdersi nel vedere il Signore come l’Assoluto.
Che bello se fosse cosė per ogni amore della nostra vita che concretizza l’Assoluto.
Che bello vivere, sperare, credere, amare esagerando cosė.
Magari ci capiterā di sbagliare anche, ma ci conforta la promessa di Gesų:

“Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco”.

Che sia per noi!
Ciao, don Luca 

Pensieri in libertà 4

Giovedì Santo 2012

Cara amica e amico,
ci siamo! I giorni sacri del Triduo di Pasqua sono arrivati!
Sono le 15 del Giovedì Santo e siamo appena ritornati dal Duomo di Milano per la concelebrazione della Messa Crismale con il nostro Arcivescovo Angelo Scola.
In realtà (a dirla tutta) sono le 15 perchè, con i preti della mia comunità pastorale, siamo andati a festeggiare con un pranzo d’eccezione.
Ci siamo fatti gli auguri di Pasqua e noi preti amiamo farceli il Giovedì Santo perchè è il giorno nel quale Cristo ha inventato i preti, inventando l’Eucaristia.
Nel Vangelo di Giovanni, raccontando l’ultima sera di Gesù, non si parla dell’Eucaristia come negli altri vangeli.
O meglio c’è un modo diverso di raccontarla. Negli altri vangeli si parla di Gesù che prende il pane e il vino e dice: “Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue”.
Queste parole, che ripetiamo da duemila anni nella messa, sono il fulcro di un annuncio. Vuoi sapere chi è il Dio dei cristiani?
Ascolta queste parole: Egli è il Dio che dona tutto se stesso per amore dell’uomo.
Giovanni dice la stessa cosa ma con una sfumatura ed una scena diversa.
Nel quarto vangelo al capitolo 13 Gesù si alza da tavola, depone le vesti, si cinge i fianchi con un grembiule, s’inginocchia davanti ai discepoli, versa l’acqua nel catino e lava i piedi ai suoi.
Prima che un gesto di grande umiltà e di disponibilità al servizio, la lavanda dei piedi, è un grande annuncio.
Vuoi sapere, in sintesi, chi è il Dio dei cristiani?
Guardalo lì, in ginocchio. Guardalo e capisci tutto. E se vuoi essere cristiano, guardalo e imitalo.
C’è in quel gesto della lavanda tutta la bellezza del cristianesimo.
Dio si mette in ginocchio. È la posizione del servo che vuole cambiare il cuore degli uomini non con le parole, i precetti, i castighi; no, Lui vuole amore e offre amore.
Dio si mette in ginocchio davanti ad ogni discepolo. Si china sui piedi forti di Pietro, come su quelli belli e giovani di Giovanni e anche sui piedi che correranno a tradirlo da lì a poco, sui piedi di Giuda.
Già, Gesù non guarda in faccia. Non fa distinzioni, per lui i piedi sono piedi e non gli interessa di chi sono. Non guarda la faccia di chi ha quei piedi, non gli importa se lo meriti o no, se sia all’altezza o no, se sia adeguato o no.
Lui lava i piedi. Vuole bene e basta,
E lo fa anche con me e con te.
E allora, Signore, ti chiedo solo una cosa in questa Pasqua: non farmi dimenticare mai questo gesto.
Quando sono tentato di dubitare che la tua logica sia ancora vincente per questo mondo che sembra andare da un’altra parte rispetto a Te, riporta la mia memoria a questo tuo inginocchiarti davanti ai miei piedi.
Quando mi lascio sconfortare dalle delusioni dei miei fratelli e sorelle che si lasciano trasportare da litigi inutili e da incomprensioni sterili, rimettimi seduto con il tuo sguardo sui miei piedi.
Quando prende la tentazione di pensare che è tutto inutile quello che faccio perchè tanto i problemi e le sofferenze degli altri non riuscirò mai a risolverli e a consolare come dovrei, mettimi una mano davanti agli occhi e costringimi al silenzio di chi sente l’acqua scorrere sui piedi e fa memoria dell’amore con il quale è amato da sempre e per sempre.
Quando la fretta, il mio peccato, le mie debolezze, sembrano più grandi di ciò a cui mi hai chiamato, dammi la percezione che l’acqua del tuo catino è più fresca di ogni calura che rallenta il mio seguirti, che quest’acqua lava via tutto perchè Tu vuoi che sia così.
Quando mi viene da pensare che più che don Luca mi sento Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento che sono e saranno sempre più grandi di lui, fammi sentire le tue mani che accarezzano i miei piedi e che, senza alzare lo sguardo, mi dici:
“Ma lo sai che sono vent’anni che cerco di farti capire che non c’è mestiere più grande al mondo del servizio al quale ti ho chiamato?
Lo sai che sono qui sui tuoi piedi, io che ho creato il cielo e la terra?
Ma non senti quest’acqua che da vent’anni ti passa sopra i piedi e ti fa raccogliere tanto di quell’amore dai tuoi fratelli che vale più di tutto l’oro del mondo?
Ma sei testardo a non capire che non m’interessa la povertà del tuo sguardo, della tua intelligenza, della tua debolezza!
A me interessa che tu senta quest’acqua, queste mani, questo asciugatoio sopra i tuoi piedi. M’interessa che tu ti ricordi che non c’è amore più grande di questo, perchè solo chi ama così, dando la vita come un servo per i fratelli, vince il dolore, la fatica. il peccato, la morte.
M’interessano i tuoi piedi, Luca. Come m’interessano i piedi di ogni uomo e donna.
M’interessa amarti. Così, incominciando dal basso. E tu, piantala di far storie, alzati da qui e vai ad incontrare altri piedi da lavare, da servire, da amare”.

Ho capito Signore. E te lo ripeto ancora, come vent’anni fa.
Prendo un catino e ti do una mano!

Buona Pasqua a te amica/o!
don Luca 

Pensieri in libertà 5

21 settembre 2012
Si riparte con un dolce ricordo

Eccoci di nuovo con “pensieri in libertà”!
Mi sono fermato dopo Pasqua e l’ho fatto solo per un motivo: “vediamo se qualcuno mi chiede di scrivere ancora sta roba”
E, in effetti, qualcuno mi ha chiesto di tornare a scrivere. Allora ricomincio, non perché volevo sentirmi pregato (si prega solo il Signore), ma perchè significa che qualcuno legge queste righe e ne ha piacere.
Non sono righe che suscitano dibattito, ma pensieri nei quali uno si lascia andare al di là del ruolo e degli impegni; sono appunto righe “in libertà”.
Sta ripartendo un anno e dopo un’estate intensa e per alcuni versi complessa, c’è un pensiero che mi ha colpito più di chiunque altro e sul quale, come comunità, torneremo spesso quest’anno.
Il pensiero lo prendo dalla lettera pastorale del nostro Arcivescovo, il Cardinale Angelo Scola.
L’11 ottobre incominceremo ufficialmente l’anno della fede, voluto dal Papa per celebrare i 50 anni del Concilio Vaticano II e i 20 anni della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Sulla base di questa importante indicazione del Santo Padre per la Chiesa universale, il nostro Vescovo ha scritto la lettera dal titolo: “Alla scoperta del Dio vicino”.
A pagina 10 c’è un invito che giudico meraviglioso, eccolo:

“Nell’Anno della fede le nostre comunità dovranno concentrarsi sull’essenziale: il rapporto con Gesù che consente l’accesso alla Comunione trinitaria e rende partecipi della Vita divina.
Come ogni profonda relazione amorosa il dono della fede chiede i linguaggi della gratitudine piuttosto che quelli del puro dovere, decisione di dedicare tempo alla conoscenza e alla contemplazione più che proliferazione di iniziative, silenzio più che moltiplicazione di parole, l’irresistibile comunicazione di un’esperienza di pienezza che contagia la società più che l’affannosa ricerca del consenso. In una parola: testimonianza più che militanza”.

Concentrasi sull’essenziale! E’ vero, non lo facciamo abbastanza e, nella nostra vita personale come in quella comunitaria, rischiamo di perderci in mille questioni che l’essenziale non sono.
L’invito del vescovo è quello di riscoprire il dono della fede come “ogni profonda relazione amorosa”.
Fa girare la testa questa definizione! Eppure, se ci penso bene, è così. Io, ad esempio, non ho fatto il prete perchè mi piaceva una veste nera, o perchè impazzivo per la liturgia, o perchè volevo animare un oratorio e organizzare una serie di eventi.
Ho fatto il prete perchè mi sono innamorato di Gesù Cristo e basta. Poi ho imparato a mettere la veste (raramente), a vivere la liturgia, ad animare l’oratorio e a organizzare cammini pastorali per le mie comunità. Ma queste e altre conseguenze non potrebbero esserci senza una relazione amorosa con Lui all’origine di tutto.
Ma non è vero solo per me, prete. E’ vero per te che stai leggendo e solo per il fatto che sei cristiano/a.
E il vescovo continua con precisazioni puntuali ed efficaci:

“Gratitudine più che dovere,
conoscenza e contemplazione più che iniziative,
silenzio più che parole,
esperienza di pienezza che contagia più che ricerca di consenso,
testimonianza più che militanza.”

È un quadro meraviglioso. Bisognerebbe imparare a memoria questa efficace cascata rinfrescante di parole. E chissà se saremo capaci di ricordarcele.
Beh, abbiamo un anno per farlo; aiutiamoci.

Mi aiuta a fare memoria di queste parole un dolce ricordo. Si chiama: Carlo Maria Martini.
La prima volta che l’ho incontrato avevo quasi 14 anni. Era l’ottobre del 1980 e il non ancora Cardinale Martini venne in visita come Arcivescovo alla festa dell’oratorio di Cernusco sul Naviglio.
In quei giorni si doveva svolgere a Roma il sinodo dei vescovi sulla famiglia. Il mio prete dell’oratorio decise di proporre che la mia famiglia rappresentasse tutte le famiglie di Cernusco tenendo un discorso di benvenuto all’Arcivescovo.
Mi ricordo che la sera prima ci sedemmo, come famiglia, intorno al tavolo per scrivere il saluto che poi papà avrebbe letto davanti al vescovo e alla comunità.
E quella sera incrociai per la prima volta quel suo sguardo austero e affascinante.
L’anno dopo io entravo in seminario. Il ricordo più bello che ho di Carlo Maria in quegli anni è di qualche giovedì durante il primo anno di seminario a Seveso. il giovedì era il giorno in cui il Vescovo faceva il “day off” cioè trascorreva una mattina o un pomeriggio a camminare in montagna.
Al ritorno dalla montagna a sorpresa arrivava in seminario e allora venivamo convocati in cappella.
Il Vescovo ci faceva prendere il Vangelo e la penna e ci insegnava a leggere e a pregare la Parola.
Erano i primi abbozzi di quella che sarebbe diventata la Scuola della Parola.
Da allora la lectio divina è diventato il mio modo naturale di pregare personalmente. Da lì qualsiasi discernimento sulla mia vita l’ho fatto con quel metodo. Da lui ho imparato che quando devi prendere una decisione o fare una scelta non devi farti mille domande e trovare mille scuse; devi solo chiederti: “Cosa dice Gesù su questa questione? Quale scelta mi indica la Parola?”
Dando così il primato alla Parola ogni scelta diventa un’obbedienza che rasserena e fortifica.
Sono stati giorni fantastici quelli passati in casa sua alla vigilia dell’ordinazione presbiterale!
Carlo Maria invitava i candidati al sacerdozio ministeriale a passare alcuni giorni con lui, a seguire i suoi appuntamenti, a dialogare con lui in gruppo e personalmente.
Cinque anni dopo l’ordinazione ci aveva richiamato uno per uno. Tra te e lui c’era il suo computer. Iniziò il colloquio così: “Bene don Luca, 5 anni fa mi hai detto così…e così…ora come ti rileggi dentro le aspettative che avevi e di cosa sei soddisfatto? Quali fatiche trovi nel ministero?” Ha tirato fuori quello che lui s’era annotato 5 anni prima e che, sinceramente, io non mi ricordavo!
Lui mi aveva mandato a Busto dicendomi: “Vai al mio oratorio”. Sì perchè lui nel 1947 quando studiava all’Aloisianum di Gallarate – dove è morto – andava tutte le domeniche, in bici, a fare esperienza di oratorio al San Filippo Neri di Busto Arsizio. Io ho svolto i miei primi anni di ministero proprio lì. E nel 1996 mi fece il regalo di venire al mio e suo oratorio di un tempo, vivendo con migliaia di persone una serata indimenticabile.

Già… potrei andare avanti per ore ad elencare le cose che mi legano a lui.
Ne ricordo solo due.
La settimana con lui a Betlemme. Predicava gli esercizi ad un gruppo di preti di una congregazione religiosa. Di questa congregazione faceva parte uno di Desio che mi aveva invitato. Martini era già in pensione da due anni e io ero l’unico di Milano che si presentava a quel corso.
Ricordo il suo abbraccio caloroso quando mi vide; pensai che era proprio invecchiato perchè non era suo costume compiere gesti di quel tipo, ma gli anni e la tranquillità lo avevano sciolto moltissimo. Ricordo le serate passate con lui a camminare e a parlare, noi due soli, guardando la città di Betlemme illuminata.
Lo salutai chiedendogli di confessarmi. L’ora e mezza che passai in quella confessione non fu dettata dai miei peccati, ve lo giuro, ma dalla bellezza di un colloquio che non dimenticherò mai.

Come non dimenticherò mai il secondo ricordo che voglio comunicarvi.
Dopo i primi 5 anni di messa spensierati ho vissuto un momento delicato del ministero. Ho passato un periodo nel quale, come prete, facevo fatica ad accettare la Chiesa, alcune sue scelte, alcune sue lentezze, alcune sue debolezze . Avevo dato la vita per Lei ma in quel momento La sentivo come fredda istituzione. Come può capitare in un matrimonio.
Chi mi seguiva mi propose di partecipare al pellegrinaggio con i preti più giovani di me a Siena. Io avrei partecipato come “fuori quota” rispetto ai preti più giovani e siccome il tema riguardava la Chiesa, avrei potuto trovare un giovamento spirituale. Il pellegrinaggio prevedeva la presenza di Martini insieme ad altri relatori.
Una sera ci fu la relazione del vescovo di Siena e il dibattito. Durante il dibattito io feci un intervento deciso e appassionato. Oltre al vescovo di Siena e al Vicario generale della nostra diocesi, Martini era lì e mi aveva ascoltato.
Al termine il Vicario generale, davanti a Martini, mi chiamò e mi rimproverò. Secondo lui il mio intervento era stato “arrabbiato e di cattiva testimonianza per i preti più giovani di me”. Io risposi con lo stesso calore che l’arrabbiatura derivava dal fatto che chiedevo soltanto di capire come amare questa Chiesa che avevo scelto di servire. La discussione avvenne davanti a Martini che non disse niente e ci vide andare via tutti e due abbastanza seccati.
Il giorno dopo il pellegrinaggio si chiudeva e nella messa conclusiva, nel duomo di Siena, allo scambio della pace, tutti i 150 preti giovani dovevano salire a scambiare la pace con il Cardinale Martini. Io non volevo andarci perchè non c’entravo niente con loro, ma chi mi aveva convinto a partecipare mi convinse anche ad andare a fare quel gesto.
Quando Carlo Maria mi abbracciò mi disse: “Don Luca io ho molto stima di te e noi abbiamo bisogno di te”.
Da allora io ho deciso di amare la Chiesa a qualsiasi costo, anche quando faccio fatica. E il perché sta nel fatto che in lui ho sentito una Chiesa che ascolta e non giudica.
Carlo Maria da lì in poi mi ha insegnato ad amare la Chiesa reale e a servirla come una sposa. Mi ha insegnato che le cose si cambiano stando dentro e vivendo l’intelligenza di sperimentare cose nuove, ma nell’obbedienza di un cammino comune.
Solo nella comunione si fa la verità. E se questo cammino è arduo, è un cammino da privilegiare.
Del resto, nel suo motto l’aveva detto fin dall’inizio:
“Pro veritate adversa diligere”.

Grazie Carlo Maria, padre, pastore, testimone.

Ciao, don Luca

Pensieri in libertà 6

8 marzo 2013
Una mimosa per l’8 marzo

Negli anni ’70 l’8 marzo era molto più sentito. Erano gli anni del post contestazione e il movimento femminista si faceva molto sentire.
Nei nostri ambienti cattolici questa ricorrenza era guardata con un po’ di sospetto e del resto chi sfoggiava una mimosa lo faceva spesso con piglio anticlericale.
Poi il silenzio. Sembra che negli ultimi anni, a parte qualche lodevole sforzo di legge, non si sia più parlato della questione femminile. La mimosa è diventata per molti un po’ come il cioccolato di San Valentino: un gesto romantico e spesso commerciale.
Mi piacerebbe invece offrire una mimosa di riflessione.

Troppe donne soffrono ancora e se in Italia nel 2012 ci sono stati 120 femminicidi il problema esiste. Esiste ed è nazionale: la percentuale degli assassini di origine straniera è troppo piccola per definire tale questione una questione d’incontro/scontro tra culture diverse. La stragrande maggioranza di chi ha ucciso una donna è italianissima e questo basti ad escludere ogni tipo di discorso che inevitabilmente porta ad odio razziale.
In più si deve dire che la maggioranza di questi omicidi si è compiuta all’interno delle mura domestiche e i cattivi protagonisti erano persone intime delle donne colpite (marito, fidanzato, ex compagno, parenti,…).
Se questo è il dato, io non voglio esprimere un parere autorevole sulla questione ma visto che mi è capitato di vivere da vicino questa problematica e so di molte donne che soffrono, un pensiero in libertà lo faccio serenamente.

Da piccolo mi è stata insegnata una frase che allora mi faceva ridere e che invece oggi è di straordinaria attualità: “Le donne non si toccano neanche con un fiore!”.
Ora, non conosco l’origine di questo detto ma mi ricordo che se davi un pizzicotto alla tua compagna delle elementari persino la bidella si sentiva autorizzata a richiamarti con questa frase: “Le donne non si toccano neanche con un fiore!”. E così anche alle medie. Poi questa cosa è scomparsa perché forse sembrava discriminatoria. Ci veniva suggerito da più parti che ora bisognava parlare di parità tra maschi e femmine.
E la cosa mi sembrava, come ora, più che sacrosanta.
La parità dei diritti tra uomo e donna è ancora una battaglia aperta e quanto mai importante. Però vorrei sottolineare anche un altro aspetto. Come ci sono i numeri pari ci sono anche i numeri dispari. È pari e dispari che ci permette di contare all’infinito; ciò che è pari deve andare insieme a ciò che è dispari perché, se cancello l’uno o l’altro, …smetto di contare e l’infinito è irraggiungibile.
La parità è una gran cosa ma forse abbiamo perso la diversità che la donna ha da noi: la sua disparità interiore coinvolgente e affascinante.
C’è una forza fisica della donna che spesso è inferiore alla brutalità di alcuni maschi e di questa disparità dobbiamo tenerne conto. E proteggere.
C’è una capacità di perdono e di tolleranza della donna rispetto al maschio di cui dobbiamo tenere conto: spesso una donna presa a schiaffi o ferita nell’intimo ha ancora l’assurda forza di dare un’altra possibilità (“è il padre dei miei figli”; “in fondo lo amo ancora”, “magari ora cambia!”…e frasi così). Coraggio che diventa martirio.
Ci sono delle disparità che sono ricchezza: dove sarebbe la tenerezza nel mondo se non ci fossero le donne? Quale dolcezza esprimerebbe l’umanità senza la sensibilità femminile? Quale intelligenza alternativa avremmo nelle decisioni se non ci fosse uno sguardo diverso da quello maschile?
La parità, lo ribadisco, è fattore sacrosanto. Ma salvaguardiamo anche questa benedetta disparità che è la diversità ricchissima e splendida tra uomo e donna.

Da maschio che spesso rischia di essere superficiale e troppo risoluto nelle questioni sento il bisogno di avere accanto delle persone che mi aiutano a gustare la complessità e la profondità della vita. Quando questo è accaduto in passato, nella maggioranza dei casi, erano donne.
E della donna abbiamo bisogno. Non solo del corpo che vediamo: ella ha un cervello e un cuore.
Sono cristiano e appartengo ad una religione che come riferimento massimo, dopo Dio, ha una donna. Si chiama Maria.
E non mi sembra che sia stata irrilevante. Anzi, fondamentale!
Se Dio ha trattato così le donne… beh si apre una bella riflessione.
E se anche “Le donne non si toccano neanche con un fiore” tale riflessione sia una bella mimosa che arrivi a tutte e a tutti.
ciao
don Luca 

Pensieri in libertà 7

28 marzo 2013
Pasqua 2013 – Giovedì Santo

Agli amici

Oggi, come ho ripreso a fare da qualche anno, sono andato con don Maurizio in Duomo a celebrare la messa crismale con il mio vescovo e centinaia di confratelli.
Abbiamo risposto “Lo voglio” al rinnovo delle nostre promesse sacerdotali che si rinfrescano proprio nel giorno nel quale, istituendo l’Eucaristia, Gesù ha inventato i preti.
È un giorno che noi preti sentiamo molto ed è anche una bellissima occasione per rivedere un sacco di amici conosciuti negli anni del seminario e nelle varie parrocchie della diocesi.
Al ritorno abbiamo caricato in macchina don Bangaly e don Paolo per raggiungere il posto dove continuare la festa a tavola, insieme.
Sul posto c’era già don Fiorino perché è a lui che spetta la scelta del posto (e stai sicuro perché sulla scelta del posto don Fiorino è dotato d’infallibilità!).
A me, come parroco, toccava il conto. Arriva la cameriera e ci dice che la mamma di una bambina che era lì ha pagato al posto nostro. E allora incomincio a pensare che in questa, come in mille altre occasioni, noi preti siamo proprio privilegiati.
Già, la gente vuole bene ai suoi preti e noi siamo oggetto di piccole e grandi tenerezze a non finire.
Questo mi ha fatto fare una riflessione ancora più profonda.
Se siamo preti è proprio perché siamo stati colti da uno sguardo privilegiato.
Io non riuscirei a spiegare il perché sono diventato prete; potrei fare un elenco di cose che ho sentito dentro, di esperienze che mi hanno affascinato, di persone incontrate che mi hanno condotto a fare questa scelta.
Ma alla domanda: “Perché proprio a me?” Io non so rispondere.
C’è stato uno sguardo che sento come privilegio. Privilegio non cercato e tantomeno meritato, anzi! Eppure so che è capitato a me.
Mi è capitato di essere chiamato ad avere il Signore tra le mani, ad annunziare la sua Parola, a dare un perdono che mi supera continuamente, a dialogare per creare la comunione tra le persone.
A me è capitato questo privilegio e, come un bambino che si trova un regalo che mai e poi mai si aspettava, …riesco a balbettare al Signore, oggi, solo una parola: grazie!

“Grazie” perché anche dentro lo scorrere logorante dei giorni, la mia quotidianità è attraversata da Te, Signore.
Grazie perché quando mi vesto per la messa sento di essere un povero uomo al quale è capitata una cosa straordinaria.
Grazie perché quando parlo di te, riesco sempre ad entusiasmarmi.
Grazie perché quando ascolto qualcuno che si confessa capisco di essere strumento di una misericordia straordinaria che si vede nei miei occhi, che usa la mia voce, che abbraccia con le mie mani.
Grazie perché anche dentro il dolore di tanta gente che vuole parole di consolazione riesco a stare lì e zitto, mentre ancora mi commuovo.
Grazie perché mi fai accontentare del sorriso di un bambino, dello sguardo fiducioso di un adolescente che cerca riferimento, della fiducia di un giovane, delle confidenze di adulti, della saggezza preziosa dei vecchi.
Grazie perché chi è malato e sofferente mi aspetta come si aspetta un amico speciale, che porta al suo letto e al suo problema l’attenzione della Chiesa.
Grazie per questo e… per molto altro che c’è stato, c’è e, ne sono certo, ci sarà ancora.
Ma grazie perché senza di te, Signore, io non sarei niente. Con Te sono me stesso.
Ma grazie anche, Signore, a loro, alla mia gente, a quello che è il tuo popolo.
Anche senza di loro io non sarei niente. Con loro sono me stesso.

Questa mattina papa Francesco ha detto ai preti:
“Questo vi chiedo di essere: pastori con addosso l’odore delle pecore”.
Allora , Signore… annusami.
Se non mi senti addosso l’odore delle mie pecore buttami in mezzo a loro.
Fa’ che non mi stanchi di stare in mezzo a loro.
E aiutami a stare in mezzo a loro con l’unica notizia buona che posso dargli: che hai vinto la morte, sei il Risorto e che il tuo amore per loro non mancherà mai.
E aiutami a non far mancare il mio.

Buona e Santa Pasqua!
don Luca

Pensieri in libertà 8

5 agosto 2013
Estate… fortunata!

Dopodomani parto pure io!
Faccio parte di quella parte fortunata d’Italia che riesce a far coincidere il tempo delle ferie con uno spazio diverso da quello di casa.
Già, fino a qualche anno fa sembrava impossibile. “Ferie” significava “via da casa”, quasi per una coincidenza dovuta e quasi obbligatoria.
Ora non più. Per qualcuno è una novità, per me no.
Mi ricordo benissimo, anche con nostalgia, la fine degli anni Settanta quando “via di casa”, in agosto, non si andava. C’era la casa nuova da comprare, l’attività artigianale del papà che partiva e… a qualcosa bisognava rinunciare.
Già siamo tornati lì… tanti mi stanno dicendo in questi giorni che non andranno via perché “a qualcosa bisogna rinunciare”.
Sono soprattutto coppie giovani che si accorgono che non si può avere tutto dalla vita e che, con una punta di orgoglio, ti mostrano che la lezione l’hanno imparata: non è solo una crisi economica da maledire, ma anche un tempo sul quale riflettere che ci costringe a mettere al centro ciò che veramente conta, ciò che è essenziale. Il superfluo stiamo imparando a lasciarlo da parte. E questo non è male.

Io, uomo fortunato, dopodomani parto.
E parto per la Terra Santa. Sì, le mie ferie “via da casa” coincidono con un pellegrinaggio. Il pellegrinaggio è un viaggio (anzi, questo è “il” viaggio) che è fatto di preghiera, cultura, comunità. Abbiamo scelto di andare in Terra Santa con i giovani perché la Giornata Mondiale della Gioventù aveva un prezzo economico esorbitante. Con un terzo di quel prezzo riusciamo a vivere la nostra GMG a Nazareth, Betlemme e Gerusalemme. Penso che papa Francesco non sia offeso per questo anzi… dei giovani che hanno scelto di vivere le loro ferie in un pellegrinaggio, che hanno scelto di mettere da parte dei soldi per un anno e che vivranno l’unica vacanza pregando, visitando luoghi santi e godendosi la comunità… sono una cosa bella per la Chiesa!
Ieri all’Angelus papa Francesco ha detto che i giovani non vanno dietro al papa, il papa li può guidare, ma i giovani vanno dietro a Gesù Cristo.
Ecco perché abbiamo deciso di partire, e di partire per la Terra Santa.

Io, uomo fortunato, ci torno per la quinta volta.
Qualcuno potrebbe dirmi che alla fine è sempre la solita storia, che ormai quei luoghi non mi diranno più niente e che le emozioni ormai sono state consumate nei precedenti viaggi.
Invece io la penso così: mi sento come quel tale che passa gran parte della sua vita lontano e che, ogni tanto, ha bisogno di tornare al paese della sua origine. Bene, quel tale sa che rivedrà volti e luoghi già conosciuti e che forse avrebbe provato emozioni più forti in posti nuovi e più affascinanti. Certo che lo sa!
Ma quel tale ha bisogno di sprofondarsi, ogni tanto, nelle sue origini; sa che il suo presente e il suo futuro dipendono dal suo passato.
Ecco, mi sento come quel tale. Ho bisogno di ritrovare gli spazi e i luoghi che sono la mia origine. Io discendo da quell’altro Tale che lì ha camminato, pianto, sorriso. Quel Tale ha voluto che fosse quella terra, benedetta e maledetta, il luogo nel quale “impasticciarsi” con gli uomini, essere uno di loro.
E allora io voglio sprofondarmi, appena posso e quando posso, in questo suo impasticciarsi con me; capire, dentro quelle strade e quelle mura, perché mi ha voluto così bene da dare, lì, la vita per me.

Io, uomo fortunato, ritornerò a casa.
Già, non si può pensare che non si ritorna a casa. Perché è importante considerare che poi il tuo presente e il tuo futuro non possono essere continuamente nostalgia del passato. Quel Tale non lo vuole. Lui, il Tale, ti vuole presente e vivo, come Lui lo è, nella tua storia, nel tuo tempo, nel luogo dove ora abiti. E, allora, vai in Terra Santa per accorgerti che poi la Santa Terra è la tua, è dove vivi e lavori. Anzi, scopri che ciò che rende Santa la Tua Terra non sono i luoghi, ma le persone che la abitano, la tua gente. E se hai gente da incontrare diventi santo pure tu.

Io, uomo fortunato, ho tanta gente da incontrare.

Buon tempo estivo
don Luca

Pensieri in libertŕ 9

11 novembre 2013
Mi piace, non mi piace…

Mi sembra di essere in un mondo strano: bello, stupendo ma strano.
Un mondo dove spesso ci lasciamo andare a logiche di comunicazione
che derivano dall’esterno invece che dal cuore, dal cervello o addirittura dal Vangelo.
Mi viene da considerare che il nostro linguaggio e i nostri giudizi,
piů che attenti discernimenti, trasudino di “social network”.
Io da Facebook mi sono ritirato dopo un anno;
insieme a tante cose buone che i social network portano con se, ce ne sono altre che non vanno.
Una di queste č la facilitŕ con la quale si puň dire, senza argomentazione e su qualsiasi argomento,
“mi piace” o “non mi piace”.
Il problema č che questo modo di valutare la vita ci ha preso
anche nell’orizzonte ecclesiale e contagia il nostro modo di vivere la fede.

Alcuni esempi:

Il papa: mi piace non mi piace.
In questi giorni c’č stato qualcuno, cattolico, che ha scritto testualmente su un quotidiano italiano che papa Francesco non gli piace.
D’altra parte incontro un sacco di gente che mi ferma per strada e mi dice: “Don Luca ha visto questo papa? Questo sě che mi piace!”. E di fatto tanta gente che normalmente fa fatica ad entrare in chiesa per l’Eucaristia, segue il papa nei suoi discorsi, viaggi, udienze.
Cosě va il mondo, direte voi, ma puň esserci una piů matura considerazione?
Personalmente stimo l’azione e il pensiero di papa Francesco e il suo linguaggio. Ma mi accorgo di aver stimato anche papa Giovanni Paolo II e anche Benedetto XVI. Tre papi diversi, ognuno con una caratteristica peculiare e affascinante. Ma ho cercato di ascoltarli tutti e tre nella mia vita (per Paolo VI ero troppo piccolo ma mi ricordo benissimo Giovanni Paolo I e le sue catechesi di quel mese!)
Don Bosco, quando portava i suoi ragazzi a Roma, diceva loro: “Non gridate W Pio IX ma W il papa!”
Il papa č Pietro che cammina nel suo 266° successore;
lo Spirito Santo ha guidato la scelta della sua persona ed egli ci aiuta a seguire Cristo: questo mi piace a prescindere dal nome.

L’Arcivescovo di Milano: mi piace non mi piace.
È cosě anche per gli arcivescovi. Sono cresciuto con il prete del mio oratorio che mi ha insegnato a far festa al mio Arcivescovo al velodromo Vigorelli (allora l’incontro dei cresimandi si faceva lě).
Mi ricordo il suo entusiasmo per il suo vescovo che era il cardinale Giovanni Colombo. Non sto a parlarvi del mio entusiasmo per il cardinale Martini!
Voglio perň dirvi che ho voluto bene al cardinale Tettamanzi e gli ho obbedito anche se qualche volta ho discusso su qualche sua opinione. ma era il mio vescovo e un prete sa che quando viene ordinato (sia diacono che presbitero) risponde “sě, lo prometto” a questa domanda: “Prometti a me a me e ai miei successori rispetto filiale e obbedienza?”
E questa risposta l’avevo giŕ data, quindi, anche al vescovo Angelo.
Ad alcuni piace il vescovo Angelo perché č diretto, ad altri non piace perché č freddo.
E invece che bello se i cristiani ambrosiani conoscessero il loro vescovo, andassero ad ascoltarlo e leggessero un suo scritto. Magari si accorgerebbero che ha molto da dire e ne parlerebbero con cognizione di causa.
Il vescovo č segno di Cristo Buon Pastore per la nostra Chiesa locale,
la comunione con lui ci aiuta a seguire Cristo: questo mi piace a prescindere dal nome.

Il prete: mi piace non mi piace.
E figurati i preti! Nell’animo di tanta gente ce n’č per tutti i gusti.
“Quello lě č troppo lento: non mi piace quello lě predica bene: mi piace quello fa teatro: non mi piace quello lě si che non vuole apparire: mi piace quello stanca: non mi piace quello mi tiene sveglio: mi piace”.
Qualcuno attribuisce anche il suo andare in chiesa o no, il suo essere praticante o no, a quel specifico prete. Mamma, se cosě fosse il prete č paragonato a Cristo!
Io invece mi sento solo un povero cristo e non vorrei questo potere sull’anima dei fedeli. Forse la ‘clericalizzazione’ della Chiesa ha contribuito a queste aberranti posizioni, ma che bello se imparassimo ad andare in chiesa al di lŕ del ministro che in quel momento fa un servizio a Cristo.
Qualcuno migra dietro al prete che celebra e cosě non si rende conto che a lungo andare gli fa del male perché lo mette sulla lingua di tutti.
Qualcuno invece va in chiesa perché sa che Cristo ha chiamato quel prete a renderlo presente nei sacramenti che sono di gran lunga piů necessari dello strumento che li rende attuali.
E queste persone (lo so per certo) pregano per tutti i preti perché il Signore li aiuti ad essere fedeli al Vangelo che annunciano e ad essere testimoni entusiasti di Cristo.
Sul cartoncino della mia prima messa avevo scritto questa frase di Paolo VI:
“Il prete č un essere umano per il quale vivere č inebriarsi di Cristo”
Preoccuparci che i nostri preti siano esseri umani cosě: questo mi piace a prescindere dal nome.

Quello lě, quella lě mi piace non mi piace.
È cosě, spesso, anche tra fratelli e sorelle nella fede. Tanti sognano la comunitŕ perfetta dove non si parla male di nessuno, dove nessuno č giudicato, tutti sono accolti e c’č perdono abbondante.
Io sono tra questi.
Perň mi accorgo ogni giorno che la realizzazione del sogno č molto lontana. Tutti i giorni dobbiamo fare i conti con cattiverie gratuite, con maldicenze, con protagonismi, con possessivitŕ su eventi, luoghi sacri o azioni pastorali, con giudizi alle spalle, con sciabolate di pettegolezzo e …quant’altro il Maligno suscita in noi (e lui non mi piace a prescindere).
E questo, badate bene, dentro i sacri recinti della comunitŕ cristiana!
Che bello se imparassimo ad andare avanti comunque perché la Chiesa č piů grande di chi ti fa del male. Che bello se imparassimo a “non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa”.
E che bello se chi ha fatto del male a qualcuno incominciasse a chiedere scusa a quel qualcuno e a Qualcuno, cosě che non lo faccia piů!
Sognare una comunitŕ dove ci si vuole bene “come io ho amato voi”.
“Se amate quelli che vi amano che merito ne avete?”: questo mi piace a prescindere dal nome.

ciao, don Luca

Pensieri in libertà 10

17 aprile 2014
Giovedì Santo

Pasqua 2014, agli amici

Stamane ancora in Duomo.
Il Giovedì Santo, giorno nel quale Gesù istituendo l’Eucaristia ha inventato “i suoi”preti, ci siamo radunati con il nostro Vescovo a rinnovare le promesse sacerdotali.
“Volete rinnovare le promesse fatte al momento dell’ordinazione?”.
“Volete unirvi intimamente al Signore Gesù?”.
Volete essere dispensatori dei misteri di Dio…lasciandovi guidare non da interessi umani, ma dall’amore per i vostri fratelli?”.
“Lo voglio”: così abbiamo risposto tre volte. “Lo voglio” ho detto pure io.
Ma quante volte la mia volontà è debole rispetto a queste promesse?
Quante volte, pure io, come tanti miei fratelli e sorelle sposati, faccio fatica a mantenere la freschezza di ciò che ho promesso?
Già, non basta essere preti per dire di essere gioiosamente fedeli ad una missione ricevuta. Occorre che la promessa sia sorretta da un entusiasmo sincero e fecondo.
Oggi mi sono confessato e ho consegnato ad un altro fratello le mie povertà, le mie fragilità vergognose e la mia incapacità di essere quello che dovrei.
E allora che senso ha dire ancora “Lo voglio”?
Ha il senso di sentirsi dentro una storia più grande di me.
La storia di Giuda, chiamato ad essere uno dei dodici e, proprio lui, ad essere colui che tradisce.
La storia di Pietro, anche lui traditore quanto Giuda e con l’aggravante di essere colui al quale Gesù aveva dato il massimo della fiducia con l’autorità sugli altri.
La storia di Pietro, Giacomo e Giovanni, che davanti all’Amico che ha paura e chiede compagnia nell’orto degli ulivi, si addormentano e non sono capaci di vegliare un’ora con Lui.
La storia di Pilato che se ne lava le mani.
La storia di tanta gente che gridava “Osanna” ieri e che oggi grida “Crocifiggilo”.
La storia di Simone di Cirene che se ne va per i fatti suoi ed è costretto a prendersi sulle spalle la croce di Quel condannato.
La storia di un ladro che non capisce e che grida la sua disperazione: “Salva te stesso e anche noi”.
In queste storie c’è una parte di me: ci sono le mie infedeltà, le mie paure, la mia pigrizia, il mio lavarmi le mani e allontanare le responsabilità, i miei facili entusiasmi nelle gioie e la mia incapacità di donare speranza nelle difficoltà, il sentirmi costretto ad un ruolo, le mie incapacità di comprendere una logica d’amore che mi chiama ad essere segno di Qualcun Altro.
Già, in questa Pasqua mi sento così, interprete di tante storie di quella Pasqua.
E sono qui, Signore, a mendicare davanti a Te.
A chiederti di farmi vivere le altre storie che hanno circondato di grandezza la tua Pasqua.
La storia di Pietro che piange sul suo peccato.
La storia di Veronica che ti avvolge di tenerezza.
La storia del ladro che sulla croce si affida a Te.
La storia di Maria, tua madre, che sotto la croce accoglie altri figli e fratelli e sorelle.
La mia storia, Signore, la mia vita,… ho bisogno che la racconti tu.
Se la racconto io balbetto poche parole confuse e soprattutto molte azioni dove sono pieno di me e basta. Invece le storie belle della tua Pasqua m’insegnano che anche le mie fragilità e povertà possono diventare un dono stupendo per te e per gli altri.
Tutto ciò che sono, e che siamo, se affidato a Te diventa spettacolo!

Ecco perché ha senso dire ancora “Lo voglio”.
“Voglio”, in barba al male, volere bene. E basta.
“Voglio” riconoscere che non sono padrone di niente perché ho ricevuto tutto in dono.
“Voglio” stupirmi ancora di essere chiamato qualcosa che non ha eguali negli affetti, nei sentimenti e nella libertà, con nessuna altra storia.
“Lo voglio”, Signore e scusa ma “Voglio” che la tua grazia avvolga tutti.
Che ogni uomo e donna che incontro abbia la gioia di sperimentare quanto è bello essere amati da Te, così, teneramente e intensamente.
Aiutami, aiutaci, Signore a stupirci sempre e da capo di avere un Dio come Te, Amico dei peccatori, innamorato di noi a partire dalle nostre fragilità.
Signore, con la pietra del sepolcro fai rotolare via dal nostro intimo tutte le nostre resistenze a concederci a Te.
Che sia Pasqua di Risurrezione questa e ogni giorno nel quale ci ricorderai quanto ci ami.

Buona e Santa Pasqua,
                              tuo, don Luca

Pensieri in libertà 11

23 dicembre 2014
Che parenti invitare a Natale?

 

Natale 2014, agli amici

 

Me li immagino in quella notte: Maria, con l’ansia tipica di ogni donna che deve partorire e Giuseppe con l’ansia tipica di ogni uomo che aspetta la nascita del primo figlio.
Giuseppe e MariaLei, seduta su un somaro sente spingere dall’utero una forza nuova mai sperimentata. Lui, falegname e quindi mani ruvide e non avvezze al compito che da lì a poco avrebbe necessariamente svolto.
Poveretti quei due; costretti a vagare in giro per Betlemme in cerca di un alloggio. E mi sembra di sentirla, Maria, che parla con Giuseppe: “Certo che i tuoi parenti, qui in Giudea, sono proprio ospitali! Siamo in giro da una notte intera e di una casa disponibile neanche l’ombra”. E Giuseppe: “Senti lascia perdere i parenti perché se penso ai tuoi lassù a Nazareth sai bene cosa me ne hanno dette dietro perché ti ho ripreso in casa invece di denunciarti all’autorità per via del bambino”.
Maria troncò subito il discorso anche perché in quel momento aveva voglia solo di sdraiarsi invece che di parlare.
Li avevano lasciati partire da soli per Betlemme e ora quei parenti di Nazareth tanto bravi a giudicare non c’erano. E i parenti di Giuseppe? Si erano già dimenticati di quel giovane che era emigrato al Nord della Palestina per cercare lavoro. In fin dei conti aveva tradito le proprie origini di puro giudeo, della famiglia del re Davide, per immischiarsi con una rozza ragazza della Galilea. E a Maria avevano detto i suoi parenti: “Ma proprio uno che viene dal Sud ti devi prendere come marito? Se è venuto fin qui è perché voglia di lavorare non ne ha, altrimenti se ne sarebbe stato al suo paese!”
Già, i parenti: in quegli istanti sia Maria che Giuseppe ebbero la tentazione di dire: “Vuoi vedere che avevano ragione loro?”
Maria però si rivolse a Giuseppe: “Amore, chi mi ha fatto visita mi ha detto che Dio non ci avrebbe mai abbandonato, perché su di me ha steso la sua ombra la potenza dell’Altissimo”. E Giuseppe: “Hai ragione cara, proprio Lui ha detto anche a me che sarò io a dare il nome a mio figlio per dargli un posto in questo popolo, anche tra parenti che non lo vorranno conoscere”.
Così facendosi coraggio arrivarono in una stalla e siccome al piano superiore, sopra le bestie, era già tutto occupato Giuseppe adagiò Maria sul fieno di fianco alla greppia dove mangiavano i buoi.
E poi la pace della notte squarciata da quel vagito improvviso ma carico di speranza: il pianto del Bimbo!
“Ce l’hai fatta Maria – disse Giuseppe – lo vedi che l’Eterno non ci ha abbandonato? E anche se soli, nella notte fredda delle colline della Giudea, senza lo straccio di un parente ce la caveremo ancora”.
Dopo alcuni minuti alla porta della stalla si affacciarono dei pastori, gente sporca e per lo più emarginata per via del loro stare sempre con le greggi. E subito raccontarono: “Abbiamo sentito un annuncio insolito e siamo venuti per adorare il bambino e per stare vicino a voi che portare una così grande speranza in mezzo a noi”.
Giuseppe sorrise dicendo a Maria: ” Hai visto? Il Signore Dio ci ha dato una nuova parentela per prendersi cura di noi”.
Maria rispose con un sorriso silenzioso e come sempre faceva in quei momenti comincio a meditare nel suo cuore: “Caro il mio Gesù, in che mondo sei arrivato! Coloro che avrebbero dovuto accoglierti con gioia nella loro famiglia ti hanno rifiutato. Sei venuto nel mondo tu, Luce vera, quella che illumina ogni uomo e i tuoi, la tua gente, non ti ha accolto. Ma tu sei venuto per questa gente che è la più povera, più sola e la più emarginata. Questa gente è venuta a cercarti! E quando sarai grande, ricordati di insegnarlo a tutti che i pensieri di Dio non sono i pensieri degli uomini. E se anche io e i tuoi parenti verremo a cercarti un giorno per distoglierti dalla tua missione tu fatti forza, Gesù, e rispondimi come il Padre che sta nei cieli ti dirà. Lui stanotte ci indica una nuova parentela”.
E il piccolo Gesù crebbe con quelle parole nel cuore. Così un giorno a Cafarnao:

20 Entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare.
21 Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo;
dicevano infatti: «È fuori di sé».

31 Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo.
32 Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero:
«Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano».
33 Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?».
34 Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli!

35 Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre».

(vangelo di Marco capitolo 3).

Che bello: Gesù fin dalla prima notte della sua vita aveva capito che parenti invitare!Buon Natale
e facciamoci trovare pronti, tra gli invitati!
don Luca

Pensieri in libertà 12

02 Aprile 2015
Auguri di Pasqua

Giovedì Santo 2015

Agli amici

Ci sono tante cose strane nel racconto della Passione di Gesù. Sembra che gli evangelisti si siano sbizzarriti nel cercare di mettere in evidenza le cose più drammatiche di sempre. C’è il racconto dell’avidità dell’uomo, c’è la narrazione dell’invidia e del rancore più grande, c’è l’ostentazione della crudeltà e del dolore, c’è l’esaltazione della debolezza e delle fragilità umane,sembra che attorno a Gesù si scateni tutta la potenza del male che è messa in luce non in chissà quali eventi ma nelle vita degli uomini, nelle loro parole e nei loro gesti.

In mezzo a tutto questo si muove Lui, Gesù, come se in questo male si muovesse a suo agio e dispensa solo parole di perdono, gesti di amore, atti di perdono.

La Pasqua è la “festa del contrasto”: il contrasto tra la pochezza degli uomini e la ricchezza di Dio. C’è un contrasto che si rivela continuamente nella diversità tra gli uomini e Dio e a Pasqua questo contrasto è messo in evidenza.

Quanto più l’uomo esagera nella sua piccolezza tanto più Dio agisce con grandezza di misericordia.
E’ così anche nella mia vita e oggi, giorno nel quale Gesù ha inventato i preti, appare ancora di più in maniera decisiva.

C’è nella mia vita un forte contrasto tra la grandezza del dono ricevuto dal Signore e la pochezza della mia risposta.

Penso che questo contrasto sia presente non solo in me ma nella vita di ogni prete.

Ma se penso a me, il contrasto, è evidente anche esteriormente.

Le mie mani che hanno giocato a basket, che hanno abbracciato qualcuno in particolare, ora diventano dispensatrici di doni di grazia: tra le mie mani Cristo prende corpo ogni giorno nel sacramento dell’Eucaristia. La mia mano si alza, quando confesso, per dare un perdono che da nessuna altra parte si può ricevere.

I miei occhi che, a volte, guardano con interesse avido le cose di questo mondo si posano sulle bellezze interiori di tanta gente che mi circonda e che si spende per il bene di altri.

La mia voce che avrebbe voluto cantare e librarsi da ben altri palcoscenici si alza per declamare una Parola che non mi appartiene ma che è l’unica Buona Notizia degna di questo nome.

I miei piedi che si scaldavano per una partita di calcio o per solcare sentieri alpini ora mi portano per strade che nulla hanno a che fare con il luogo dove sono nato o dove avrei voluto abitare; eppure sono le strade che la Provvidenza mi ha donato di solcare con disegni imprevedibili, sono le strade di tante persone che ho imparato ad amare ovunque sono stato mandato dal vescovo.

Le mie lacrime che avrebbero voluto sciogliersi per ciò che riguardava i miei sentimenti, diventano un legame forte con il dolore che non è mio ma è quello di tanti che chiedono la condivisione del loro dolore e me lo riversano addosso convinti che io possa sopportarlo.

E il mio cuore troppo piccolo anche per riuscire ad amare una sola persona ora si trova ad essere un grandioso mezzo di trasporto per tanti altri cuori che a me affidano le loro speranze.

Sì, questo meraviglioso contrasto, che fa stridere la mia povera umanità con la grandezza di Dio, oggi si rinnova.

E non si rinnova per le mie promesse, mantenute in modo claudicante. Si rinnova per un amore più grande che, per grazia, non ha mai smesso di contagiarmi.

Questo amore che è stato riversato sulle mie mani come sulle mani di ogni prete nel giorno dell’ordinazione oggi rinnova la sua fedeltà.

Oggi in Duomo, prima di rinnovare le promesse di questo sacerdozio ministeriale, ho sentito il bisogno di prendere in disparte un mio confratello e di confessarmi. Davanti alla mia lista di infedeltà il Signore, per bocca del mio occasionale confessore, mi ha detto: “Hai ragione sei un povero uomo con le tue debolezze e quindi un povero prete con il contrasto che ti porti dentro tra quello che dovresti essere e quello che sei. Ma ricordati che, proprio oggi, mentre Gesù compie la sua missione a nessuno ha rivolto la parola che ha rivolto solo a Giuda: Amico!”.

Già chi più in contrasto di Giuda! Eppure Gesù ha voluto esaltare questo contrasto ed esagerare ancora una volta: l’ha chiamato amico.

Poi Giuda non ha sostenuto questo contrasto, non l’ha sopportato o forse il suo orgoglio è stato più grande ed è finito male.

Ma io non vorrei finire male anzivorrei sentire che questa sua chiamata ad essere prete segnasse sempre di più la grandezza del suo amore rispetto alla mia piccolezza.

Anche a te, che leggi, è rivolto questo messaggio.

Chissà quante cose anche nella tua vita sono segnate da questo contrasto! Ma ti prego: non lasciarti andare e confida che dopo la tua miseria c’è la Sua Risurrezione. Cristo è Risorto perché nulla, nemmeno la morte possa avere su te più potere del Suo Amore.

Prega per me, perché non mi scandalizzi mai delle mie povertà e continui ad avere fede nella Sua Bontà e Bellezza.

Io pregherò per te: possa tu continuare la tua ricerca di un Amore che non si ferma davanti a nessun contrasto ma che capace di contrastare persino la morte.

Buona Pasqua,
                      tuo don Luca

Pensieri in libertà 13

03 novembre 2015
La solitudine

Mi capita di scrivere per “Promozione umana” degli articoli che don Chino e don Mario, con la loro redazione, mi chiedono per la rivista della loro comunità di recupero. Il prossimo numero di questa rivista affronterà il tema della solitudine. Ho deciso di scrivere queste righe e mi sembrava bello offrirvele come “pensieri in libertà” perché quelli sono inoltre:
– Sono stato solo la settimana scorsa per parecchio tempo (oltre le cure amorevoli dei miei).
– Siamo nel tempo che ricorda liturgicamente il tema della morte e quindi la grande domanda su Dio.
– Non esco a visitare le famiglie e quindi ho tempo per scrivere e magari per offrire qualcosa su cui riflettere.
– La solitudine è così brutta? Dipende!
Ciao, don Luca

Tema suggerito dalla redazione:
La solitudine: tra le cause, anche il venir meno della trascendenza (l’assenza di Dio) (don Luca).

 

La solitudine, si dice, che sia un male. Ma non è sempre vero.
Infatti se penso alle scelte più importanti della mia vita, alle decisioni anche quotidiane, che però implicano una riflessione, behle ho sempre prese in solitudine. Certo, ascolti i consigli (se non hai deliri di onnipotenza), t’informi meglio scegliendo i canali giusti (per non prendere cantonate) ma alla fine senti il bisogno di rientrare in te stesso e prendere la decisione giusta nel segreto del tuo cuore.
Per fare questo c’è bisogno di solitudine. Faccio fatica a prendere una decisione se sono in mezzo a migliaia di voci, ho bisogno del silenzio e di ascoltare ciò che ho dentro. Mi piace quella frase di S. Agostino incontrata negli anni del liceo: “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas” («Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell’uomo che risiede la verità»).

Se è così perché dichiarare guerra alla solitudine? Essa può essere maestra utile e necessaria poiché è solo sprofondandomi in essa che trovo la capacità di rientrare in me stesso. Ma per molti stare soli con la propria interiorità è una difficoltà enorme; anzi, per tanti è fonte di ansia e di panico. In questo senso, quando non siamo nella pace, la solitudine diventa una situazione da esorcizzare. Molti lo fanno ascoltando musica “a palla”, altri lasciano accesa la televisione anche se non la guardano, molti si circondano di gente continuamente anche se poi non esiste con nessuno una relazione profonda. E così via; per paura di sentirci soli, spesso, c’inventiamo dei surrogati che ci danno l’illusione che la solitudine sia sconfitta.
Eppure è proprio in questo momento che occorre fermarsi e cambiare. Forse occorre farsi una domanda: “Cosa posso dare agli altri se ho paura di me stesso?”.
Le nostre relazioni sono spesso blindate da uno schermo che ci proietta anche sorridenti, in forma fisica magari splendente, ostentatori di sicurezza ma in realtà tremendamente feriti nell’intimo perché incapaci di stare con l’unica persona capace di metterci in crisi: noi stessi.

Penso che l’accompagnamento psicologico, per diverse situazioni, sia una buona soluzione. Infatti occorre affrontare, con la ragione innanzitutto, quei fantasmi del passato che ci visitano spesso riportandoci a situazioni ed emozioni che ci annientano. Un buon cammino psicologico, psicoterapeutico o di analisi può aiutarci a sbloccarci da determinate paure.
Ma forse c’è anche dell’altro. Parecchi psicanalisti concordano nel fatto che l’origine di tutte le paure che abbiamo, dalla paura del buio da piccoli fino a paure motivate da altre situazioni, siano generate da un’unica grande paura atavica: la paura della morte. Già, come se l’origine di tutte le paure consistesse nell’impotenza di affrontare un’unica grande domanda: “Dove va la mia vita e che cosa c’è dopo?”

Penso che la grande scommessa del cristianesimo sia proprio questa sfida: dopo la morte non c’è qualcosa ma Qualcuno. Costui mi ama e lo fa già qui ed ora; ha dato la vita per me, per strapparmi di dosso la paura di rimanere solo davanti alla percezione del tempo che passa. Gesù Cristo mi dice che ogni goccia d’amore, versata ogni giorno, ha un senso perché non finisce in un attimo ma scavalca l’orizzonte dell’eternità. E che bello vivere con la consapevolezza che tutto ciò che faccio oggi è per sempre, agli occhi di Dio!
Non so se vale per tutti ma certamente la fretta di sbarazzarci di Dio ci ha portato tutti ad essere assetati e affamati di attimi, di rincorrerli in maniera morbosa, di consumare emozioni una dopo l’altra senza uno sguardo che arrivi lontano.
Che bello incontrare qualcuno (e mi capita spesso) dei nostri vecchi o dei nostri malati, magari al termine dell’esistenza, che mi dice: “Io so dove vado, sono sereno!”
Se la nostra solitudine si nutre di queste certezze forse sarà più serena anche la nostra vita, qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri.
Dice la prima lettera di Giovanni, l’Apostolo: “Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1 Gv. 3,19-20) .
Se Dio è più grande di qualsiasi cosa il nostro cuore possa rimproverarci, perché non invitarlo ad abitare la nostra solitudine? Essa ci diventerà amica.

don Luca Raimondi

Pensieri in libertà 14

13 febbraio 2016

Anche stavolta i pensieri in libertà vanno in stampa su “Promozione Umana” la rivista della comunità di don Chino, anzi penso che l’articolo lo taglieranno in alcune parti perché un po’ lungo quindi per voi la versione integrale.
Sono cose semplici ma alle quali tengo molto
ciao don Luca

Tema suggerito dalla redazione:
La parola di Dio deve essere incarnata, non può restare solo tra i muri della chiesa.

Viviamo in un mondo strano! Sentiamo tanta gente riempirsi la bocca di libertà di parola, di libertà di stampa. A volte ho l’impressione che questa libertà diventi l’occasione per esprimere senza criterio e soprattutto, senza rispetto, la propria avversione contro qualcuno. Inoltre assistiamo ogni tanto ad una libertà di espressione a senso unico. Tutti possono parlare di tutto però quando lo fanno i credenti o la fa, ancora più autorevolmente la Chiesa, c’è sempre qualcuno pronto a denunciare l’ingerenza di una fede nelle questioni civili! Francamente giudico questa denuncia molto pregiudiziale. Se si difende la libertà di espressione bisogna farlo per tutti e non per alcuni. Occorre semplicemente un minimo di onestà intellettuale e forse anche di conoscenza circa la fede cristiana. Il problema è questo: se la fede fosse soltanto una dimensione personale e, per di più, nella sua accezione negativa, cioè qualcosa di privato che non deve uscire dai recinti individuali. Beh, allora i credenti dovrebbero tacere su qualsiasi fatto che riguardi la società laica degli uomini. Se la fede fosse soltanto una dimensione da vivere nel recinto del sacro e quindi solo nei luoghi religiosi per estendersi al massimo in sacristia o sul sagrato delle chiesebeh, se fosse così, ha ragione chi sostiene il silenzio dei credenti. Per chi sostiene questo silenzio la religione ha un unico senso di marcia: quello verso il cielo.
Purtroppo però (e meno male) duemila anni fa un tale di Nazareth s’è messo in testa che, essendo Figlio di Dio, doveva rendere figli di Dio e suoi fratelli tutti gli uomini. Il problema sta proprio qui: non si è limitato ad annunciare la Parola di Dio ma ha avuto la pretesa di essere lui la Parola viva, incarnata, di Dio. E il suo annuncio non si è limitato all’interno dei luoghi sacri del tempo; non gli bastava la sinagoga , il tempio dove comunque confluivano migliaia di persone. Ha incominciato a parlare lungo un lago, a visitare le città, le piazze e le case degli uomini. Non ha avuto paura ad attraversare deserti o a scalare montagne o di affrontare viaggi in barca, per raggiungere le persone. Nei suoi discorsi non si parlava di discorsi sacri o soltanto di preghiere; le sue parabole narravano del lavoro nei campi, della fatica del pescatore, delle dimensioni più semplici e frequenti del quotidiano. Le sue frequentazioni non si limitavano agli uomini di religione, di potere o agli intellettuali; incontrava tutti e si lasciava incontrare persino dai bambini, anzi per primo ha dato dignità ai bambini e alle donne! Addirittura veniva criticato pesantemente perché non rifiutava il suo annuncio nemmeno ai peccatori pubblici, alle prostitute, ai ladri, ai poveri di ogni genere; si lasciava toccare persino da coloro che avevano pericolose malattie e guariva quelle persone che, affette da disturbi psichici, erano considerate addirittura indemoniate. Insomma per quel nazareno non c’erano confini per il suo annuncio: la buona notizia era per tutti i luoghi e per tutti gli uomini.
Ma la cosa più strana non consiste nel fatto che il suo annuncio si rivolgesse a tutti. La cosa che ha commosso il mondo e che lo commuove ancora, è che Lui quello che annunciava lo viveva! La sua buona notizia era incarnata da Lui, la viveva istante per istante. Chi lo avvicinava si accorgeva che non insegnava una dottrina ma parlava con autorità di se stesso e della sua vita.
Hanno provato a fermarlo, a farlo tacere ma niente da fare. Lui era proprio ostinato. E quando hanno deciso di toglierlo di mezzo, come fanno i codardi ancora oggi con coloro che amano la verità, lo hanno fatto fuori. Ma non conoscevano la sua ostinazione fino in fondo, non potevano immaginare quanto forte era ed è il suo amore: tant’è che è risorto e ancora vivo, oggi, continua a portare a tutti la sua buona notizia e chiede a chi parla di Lui di incarnare nella propria vita questo vangelo.
Già, il cuore della fede cristiana e la differenza tra il cristianesimo e qualsiasi altra religione, sta qui: Dio si è fatto uomo. Significa, che da allora non c’è più niente di ciò che è umano che non interessi a Dio, che non gli stia a cuore, in prima persona.
I cristiani sono innamorati di questo principio, anche se sanno che è rischioso e difficile da vivere. Difficile perché vuol dire che la parola di questo Dio devono anche loro metterla in pratica e rischioso perché viverla significa essere spesso contro corrente. Non puoi pensare oggi che essere cristiano ti ponga in una prospettiva di carriera o di prestigio. Anzi, forse dovrai giustificare più degli altri alcuni tuoi atteggiamenti. Difficilmente, se sei cristiano nei fatti, avrai la maggioranza dei consensi; non preoccuparti la verità non si fa a colpi di maggioranza.
Non avrai successo forse o consensi immediati

se per te l’amore è unico, fedele e per sempre,
se la vita è sacra sempre e fin dal grembo della madre,
se persino il dolore può diventare occasione di dono,
se chi è il più debole ha più diritti degli altri,
se sei disponibile all’accoglienza dello straniero,
se chi è diverso per cultura e religione è un arricchimento,
se per te la giustizia più alta si chiama misericordia,
se per te avere potere significa servire,
se per te la verità si coniuga con la carità.

Scoprirai che, se sei cristiano, non avrai mai la verità in tasca ma continuerai a cercarla anche con chi cristiano non lo è ma cerca come te la verità.
E scoprirai che la verità non è di destra o di sinistra, non è conservatrice o progressista, non è di qualcuno a scapito di altri e che la verità non sta nemmeno nel mezzo.

“La verità non sta nel mezzo ma al centro, ed è tutt’altra cosa” (P. Sequeri)

Ti auguro di trovare il tuo centro che, se sei cristiano, non è un’idea ma una Persona: scoprirai di guardare il cielo ma con i piedi saldamente fondati su questa nostra amata terra e su questo, sempre splendido, mondo.

don Luca Raimondi

Pensieri in libertà 15

24 marzo 2016 – Giovedì santo

Agli amici
GiubileoQuesto Giovedì Santo, giorno nel quale Cristo istituendo l’Eucaristia ha istituito il sacerdozio ministeriale (quindi è oggi il giorno nel quale sono stati inventati i preti!) lo viviamo nell’Anno Santo della Misericordia.
E’ stato un colpo di genio di papa Francesco questo Giubileo: non è dettato, come gli altri giubilei da scadenze riguardanti l’Incarnazione di Cristo o la sua Redenzionesemplicemente il papa lo ha indetto perché ha sentito che nel mondo c’è bisogno di Misericordia. Mentre scrivo si parla dei recenti attentati terroristici in Belgio e il mondo intero sembra avvolto in una cappa grigia di oscurità malvagia. E il papa, davanti a tutti questi fatti, c’invita a cambiare il mondo incominciando a cambiare noi stessi.

Ha fatto così anche un altro Francesco, quello di Assisi, dal quale il papa ha preso il nome; egli viveva in un tempo difficile, forse più del nostro e per di più ai suoi tempi la Chiesa non brillava certo per fedeltà evangelica. E lui invece di criticare il mondo o la Chiesa ha incominciato a cambiare se stesso! Ed è andato in giro per il mondo a ricordare a tutti che c’è un Padre che ama gli uomini e non si stanca mai di loro.
Mi viene da pensare che questa sia ancora la ricetta vincente non solo per essere cristiani credibili ma per essere semplicemente uomini e possibilmente autentici. Altre ricette che riguardano il potere, il successo personale, manie di grandezza, l’arricchimento alla fine deludono e ti lasciano con un vuoto nel cuore. Quando Cristo invece ti chiama a cambiare la tua vita e a farne dono per altri ti senti estremamente in pace.

A me è successo. Non so perché sia successo proprio a me, ma è successo. Non so ancora oggi perché Lui mi abbia chiesto di seguirlo fino al punto di diventare un suo prete ma so che rispondendogli “sì” mi sento ancora bene oggi. Mi sento bene perché sento che Lui mi ha riempito la vita; non passa giorno senza che Lui m’insegni qualcosa di nuovo su di me e sugli altri. Mi sento bene perché, anche con qualche tratto di lacerazione e di sofferenza, la mia vita è bella e gioiosa. Mi sento bene perché, nonostante i miei peccati e le mie debolezze o fragilità, non ho mai pensato per un istante che Lui mi avesse preso in giro e che non fosse fedele alla sua promessa. Mi sento bene perché se penso alla mia adolescenza, alla mia giovinezza e ora alla mia età matura (i capelli bianchi non mentono!) mi sento dentro solo un atteggiamento indescrivibile a parole o meglio, quando riesco a trovare le parole (sai che non mi mancano le parole ma in questo caso sì) riesco a dirne solo una: Grazie!

Grazie Signore perché questo dono non me lo meritavo ma mi è arrivato. Essere dispensatore della tua misericordia è una grande responsabilità ma soprattutto una grande gioia. Poter donare la tua pace al fratello e alla sorella che s’inginocchia, per chiedere perdono, a te è un dono che non ha confronto con altri.
Grazie Signore per la possibilità di parlare di Te ai bambini, ai ragazzi, ai giovani, alle giovani coppie e a quelle un po’ acciaccate, ai vecchi e persino agli ammalati, che rimangono la tua scuola di vita preferita.
Grazie Signore perché se non cerco me stesso e mi dimentico di me Tu non ti dimentichi di me mai e riempi la mia vita di tanta gente che è diventata la mia casa, il mio cibo, il mio vestito, il mio desiderio.
Grazie Signore perché, con i pensieri che possono darmi le mie meravigliose quattro parrocchie, ogni mattina mi sveglio con la possibilità di averti tra le mani e di assistere, ogni volta con animo trasognato di bimbo, al miracolo del tuo Corpo che viene ad abitare in mezzo a noi.

Santa Caterina da Siena definiva i preti “ministri del Sangue” cioè coloro che attingono al sangue di Cristo per donarlo a tutti. Ecco Signore, vorrei essere capace in questo anno di misericordia di donare questo Sangue a tutti. Anzi, lo sai sono esagerato, mi piacerebbe prenderli tutti a secchiate i miei fratelli secchiate che lavano via le tristezze, le infedeltà, le paure le debolezze, i risentimenti, le preoccupazioni per la vita quante cose da lavar via! Eppure la tua Misericordia c’è per questo; c’è perché ognuno possa sentirsi investito da questo amore che non è magia ma ti aiuta ad affrontare la vita in tua compagnia.

Signore, non sono un acuto pensatore e nemmeno un intellettuale prestigioso, mi sento solo uno “strillone della Parola”, uno che vende un prodotto che non è suo ma sa che è il meglio, ancora oggi, sul mercato. Aiutami a gridare, se serve anche con le parole, che Tu hai a cuore ciascuno di noi, che sei morto in croce per ognuno di noi. E se il tuo amore è più forte anche della morte, perché sei il Risorto, di che cosa dobbiamo avere paura?
Semplicemente grazie, grazie, grazie

E grazie anche a te amica/o buona Pasqua!
don Luca

Pensieri in liberta° 16

22 novembre 2016
A tutti voi!
don LucaQuesto pensiero in libertà nasce dalla gratitudine! Ci ho pensato se scriverlo o no. Ma poi mi sono detto (come faccio spesso ultimamente) “è meglio essere criticati di protagonismo e di eccessiva esposizione che tacere una cosa bella!”. Una cosa se è vera la dici e se è bella la racconti a tutti.

Ho compiuto 50 anni e sono stato sommerso da messaggi e attenzioni che definire numerose e meravigliose è poco.
Non ho risposto a nessuno degli sms ricevuti e per pudore taccio il numero, ma voglio farlo ora. E voglio rispondere anche a tanta gente che non ha mandato messaggi ma so che ha pregato per me. E’ fantasticoil giorno del mio onomastico, del compleanno e anche dell’ordinazione sacerdotale io ho 4 messe feriali dove si prega per me!
Lo so, magari per il parroco lo si fa in tutte le comunitàmagari per dovere di cortesia. Però vi assicuro che i contenuti dei messaggi e le manifestazioni di affetto che ho ricevuto, per il mio mezzo secolo di vita, non sono state di semplice cortesia. Devo dire grazie a tutti perché mi sento amato.

don LucaNella vita un uomo può ricevere tanto o poco e non sempre quello che riceve corrisponde a quanto ha dato. C’è gente che da molto e riceve purtroppo poco perché, alcune volte le situazioni e le persone sono ingrate. Io penso sempre di me che posso dare di più ma, qui sta la Grazia di Dio, ricevo sempre in eccedenza.
Mi sono trovato a 50 anni a sentirmi un costante debitore di amore. E’ così, quando mi sembra di restituire e saldare il debito, subito ricevo così tanto amore da sentirmi quasi in imbarazzo perché non ce la farò mai a restituire.

Ho 50 anni e ho scelto di amare Gesù e la Chiesa, cercando di fare il prete. E proprio a 50 anni, senza tante persone o cose che un uomo, alla mia età, potrebbe desiderare lecitamente, voi mi avete aiutato a capire ancora meglio quella parola del Vangelo che dice:

“Pietro allora disse a Gesù: «Noi abbiamo lasciato i nostri beni e ti abbiamo seguito». Ed egli rispose: «In verità io vi dico, non c°è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà» (Luca 19, 28 – 30).

don LucaEcco voi mi avete aiutato in questi giorni a sentire vere queste parole di Gesù e a sentirle vere per me! Sperimento che quello che ricevo nel tempo presente è davvero molto di più di ciò che ho lasciato e poi c’è la vita eterna ma per quella vorrei aspettare ancora qualche annetto

Sono un uomo felice e grazie a voi!
Ve lo dico con il cuore: Vi voglio bene e mi sa che da grande farò il prete!

Grazie ! Vostro, davvero, don Luca

Pensieri in liberta° 17

15 marzo 2017

La collaborazione con la rivista “Promozione Umana” continua. Scrivo ancora per don Chino Pezzoli e la sua comunità (che si chiama come il giornale). Non scrivo perché sono un esperto ma perché ho incrociato quest’esperienza e mi hanno chiesto di mettermi a disposizione con la penna visto che non posso farlo con altroma è il mio modo di sostenere cammini di riscatto dalla droga o da altre patologie che questa comunità cura nel profondo.

Il tema degli articoli lo sceglie la redazione e quindi io devo sempre informarmi da capo, pensare e trovare qualcosa da scrivere. E’ per me, povero curato di campagna, un’occasione per pensare un po’ di più.

Allora voglio offrirvi, in anteprima come si fa con gli amici, questo articolo su un tema caldo per moltima è quello che penso sulla vicenda in questione.

A volte pensiamo che si debba essere per forza per “il sì o per il no”, invece si può andare più a fondo! Certo un articolo ha degli spazi predefiniti e non ti permette fluidità di ragionamento però la sintesi può essere uno stimolo a focalizzarsi sull’essenziale.

Eccolo qui sotto!

P.S. mi hanno appena telefonato dalla cooperativa di don Chino “Alle cascine” e sabato 1 e domenica 2 aprile lo stand della comunità sarà fuori delle Messe a Bernareggio. Quindi per Pasqua salumi e formaggi siamo a posto e sono buoni!
Li fanno ragazzi riscattati alla vita e quindi hanno l’ingrediente “A” come Amore.

“Promozione Umana numero di aprile 2017. Numero 100!

Tema suggerito dalla redazione:- Medjougorie, luogo di culto controverso

Parlare del fenomeno delle apparizioni di Medjougorie porta con se un rischio che vorrei francamente evitare. Tale fenomeno ha coinvolto, per questi trent’anni, migliaia e migliaia di pellegrini che si sono recati in quel luogo per vivere un’intensa esperienza religiosa. Lungi da ma cercare di giudicare le intenzioni di chi si è avvicinato a quel luogo portando con se una domanda seria di fede. Conosco tante persone che attraverso questi pellegrinaggi hanno ritrovato un cammino religioso serio e motivato; hanno riscoperto una preghiera e una vita di carità molto più intensa che in passato. Quindi ritengo che nessuno di noi possa giudicare il cammino personale di fede di nessuno. Così come nessuno può ritenersi degno di esprimere un parere circa il motivo per il quale tante persone si siano recate in questo luogo. Conosco vicende che hanno spinto molti uomini e donne a raggiungere Medjugorie: storie di disperazione, di malattia, di droga, di solitudine, di angoscia
Medjugorje
Non voglio quindi considerare banali queste storie e nemmeno le emozioni che tanta gente ha provato in quel luogo dove, si dice, da tanto tempo la Madonna appaia. Tuttavia la Madre Chiesa ha il dovere e il diritto di esprimersi circa quei fenomeni che, travalicando i confini delle normali esperienze di fede, si pongono all’interno di un cammino ecclesiale. Con questo intento il Santo Padre Francesco ha nominato un “supervisore”, con una commissione che valuterà la veridicità delle cosiddette apparizioni, per poi riferire al Papa. E’ di questi giorni anche la notizia di un parere negativo del vescovo di Mostar, diocesi nella quale si trova Medjougorie. Quindi sembra che il problema sia “apparizioni vere o no”? Ma forse c’è una riflessione ulteriore da fare.

Ciascuno di noi, nella sua esperienza personale, può essere arrivato alla fede attraverso mille percorsi. C’è chi crede perché ha avuto una educazione cattolica intensa o testimoniata da persone credibili. C’è chi è arrivato alla fede attraverso una sofferenza e la vicinanza di qualche cristiano lo ha aiutato a scoprire una religiosità carica di speranza. C’è chi attraverso, addirittura esperienze contrarie alla fede, ha sentito il bisogno di non fermarsi alle apparenze ma ha trovato il coraggio di andare controcorrente e di affidarsi a Qualcuno al quale aggrapparsi.

E allora perché non abbracciare con gioia i tanti cammini di chi, passando da Medjougorie, ha trovato quella fede capace di sostenere una nuova vita e una scoperta di carità inimmaginabili prima di quella esperienza? Già, ma forse questo è il punto. Che cos’è allora il miracolo? Che alcuni veggenti vedano la figura della Madonna oppure che da questo presunto fenomeno tante persone abbiano riscattato la loro vita?

Dice la parola di Dio: “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede” (Lettera agli Ebrei capitolo 11). Quindi la vera fede deve fare quel salto di speranza dentro ciò che è invisibile agli occhi poiché è un affidamento che va oltre la ricerca del sensibile o del sensazionale. “Beati quelli che pur non avendo visto credono” (vangelo di Giovanni capitolo 20), dice Gesù a Tommaso. La vera fede non consiste nella ricerca spasmodica di prove ma nell’ affidamento continuo alla Parola del Signore e ai gesti che Egli compie nella sua Chiesa.

Ecco perché ritengo che ogni fenomeno religioso che sia apparizione, lacrimazione di statue o di quadri, debba essere circoscritto all’esperienza di chi l’ha vissuto e non possa essere indicato come via ordinaria per un cammino di fede autentica. Del resto questa è stata l’esperienza dei veggenti di Lourdes o di Fatima: scomparire dalla scena perché fosse la fede a farsi breccia nel cuore degli uomini. Francamente questo, a Medjougorie, genera qualche perplessità.

Ma mi pare logico anche un altro ragionamento. Nessuno vieta alla fantasia di Dio di far apparire sua Madre ovunque Egli lo desideriquindi perché invece di ricercare fenomeni straordinari non ci si impegna a ritrovare una sana e forte devozione mariana vicino a noi? Ma quante Madonne abbiamo nelle nostre chiese e nei santuari vicino a noi? E quante volte potremmo ritrovare la semplicità di dire qualche Ave Maria mentre siamo in coda in autostrada o in una corsia di ospedale, mentre aspettiamo un figlio che torna tardi la notte, mentre facciamo i mestieri più disparati,

Oppure, lo so che oso, non è che magari la Madonna preferirebbe che fossimo vicini a tante donne che ci “appaiono” ogni giorno, nella solitudine, vittime di violenze, abbandonate con una maternità indesiderata, a tante mamme che piangono?

Questo possiamo farlo tutti, il resto lasciamolo decidere alla Chiesa.

don Luca Raimondi

Pensieri in liberta 19


Dopo domenica 25 giugno..

Lunedì 26 giugno 2017

Carissime e carissimi,
sono le 19,30 di lunedì e mentre fuori diluvia mi sembra bello far scendere su ciascuno di voi il mio diluvio di grazie!
I giorni che ho vissuto con voi per il mio 25° sono stati giorni meravigliosi. E come già vi ho detto. Nessuna falsa umiltà: mi ha fatto un piacere immenso.
Mi sono preparato mercoledì scorso con una bella confessione alla Messa di ieri e sono arrivato a questo appuntamento comunque con una grande trepidazione. Vi sembrerà strano ma io le feste le faccio agli altri e quando le fanno a me sono in evidente imbarazzo e agitazione.

Non mi ricordo di aver sudato così tanto alla prima Messa e ciò penso che riguardi il fatto che a 50 anni le emozioni le interiorizzi meglio che a 25.
Sono entrato in chiesa ieri facendo tutta la navata a ripetermi dentro: “Non a noi, Signore, non a noi ma al tuo Nome da gloria!” (salmo 115).
L’ho usato come giaculatoria per tentare di rimanere calmo e tranquillo non è servito a niente. O meglio è servito a ricordarmi che tutto quello che stavo gustando doveva portarmi a ringraziare Colui che fino ad oggi mi ha portato qui e da voi.

Quindi innanzitutto grazie al Signore che ci ha fatto incontrare.

Grazie a chi ha organizzato, pensato e realizzato questa festa e i momenti che l’hanno preceduta.

Grazie a chi ha curato la liturgia: che bel coro e che belli i chierichetti.

Grazie ai ragazzi sull’altare.

Grazie ai preti sull’altare e a quelli lontani (grazie Davide).

Grazie a don Cristiano per la sua condivisione, per l’omelia e perché sapeva che poi molto sarebbe girato intorno a me e questa è amicizia.

Grazie ai miei parenti che hanno voluto esserci (un grazie speciale al Signore che mi ha permesso di festeggiare il 25° con papà e mamma e non è scontato papà tuchess no!).

Grazie ai sindaci e alle loro dimostrazioni di affetto e stima.

Grazie a chi era nell’ombra ma ha fatto tanto per la chiesa come sempre.

Grazie per il regalo di solidarietà (con chi andrò a cena?) ma anche per gli altri pensieri che mi sono stati offerti.

Grazie a chi era in chiesa e a tanta gente che si è fatta presente in svariati modi: mail, SMS, lettere,

Grazie a tutti i miei parrocchiani perché non c’è stato nessuno che incontravo nei giorni scorsi che non mi dicesse “auguri”.

Grazie a chi ha fatto un lavoro immenso per il pranzo e quant’altro.

Grazie agli amici musulmani per la loro presenza di augurio.

E se ho dimenticato qualcuno grazie a tutti!

Mi sento molto piccolo di fronte a quanto ho ricevuto e penso a questa pagina del Vangelo: “E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Matteo 10,42).
Se la ricompensa l’avremo per un bicchiere d’acqua fresca dato ad un discepolo figuriamoci voi cosa avrete per quello che avete fatto per me!
Ma allora se siete già tutti con un posto in paradiso io che sto qui a fare?
No dai, scherzo giochiamocelo ancora insieme, qui e ora, il regno di Dio!!!
Vi voglio veramente bene e stasera, visto che si è rinfrescato con la pioggia tutti a letto coperti da una preghiera: la mia per voi.

Un abbraccio!
In Gesù, vostro
don Luca

Don Davide

9 ottobre 2011 – Rigenerati dal dono

9 ottobre 2011 – Rigenerati dal dono
da: “Il soffio”

“Quando parti?”. “E cosa farai esattamente in Brasile?”. “E quanto tempo starai là?”. “E la lingua?”. “Ma hai deciso tu di partire oppure te l’hanno chiesto?”. “E non ti dispiace di lasciare i tuoi amici?”. Quante domande!
Sono quelle che in questi giorni mi rivolgono tutti quelli che mi incontrano o quelli che, solo ora, hanno saputo della mia prossima missione come fidei donum in Brasile. C’è curiosità ma anche molta stima e affetto (come nelle parole di quella bambina che, tirandomi per la giacca dopo la messa, mentre dall’altare guardavo la gente uscire di chiesa, mi chiese con la sua voce dolce e delicata: “Ma tu, ti ricorderai di me?”!). Per questo, in queste poche righe vorrei condividere alcuni pensieri che, almeno in parte, sono una risposta a questi interrogativi.

1. Iniziamo con qualche notizia di cronaca. Tutto è iniziato nel mese di aprile del 2010 quando, al termine di una riunione docenti in seminario, il rettore ci ha comunicato il rientro in diocesi di don Mario, dopo sei anni trascorsi in Brasile come insegnante di teologia, aggiungendo, a nome del cardinale, l’invito – se qualcuno avesse voluto – a prendere il suo posto come docente di teologia nell’istituto teologico di Belém in Brasile. L’idea, precisava il rettore, sarebbe quella di incoraggiare una conoscenza, uno scambio e una comunione tra le Chiese. E, per questo motivo, non si sarebbe trattato di una missione infinita, ma di un servizio di sei anni. La “cosa” mi ha subito interessato e, dopo un tempo di discernimento, alla fine del mese di settembre ho dato la mia disponibilità. Mi piace pensare che, da un certo punto di vista, questa missione mi è stata affidata attraverso una richiesta che assomiglia (in un certo senso) a una nuova vocazione; mentre, da un altro punto di vista, si tratta di una mia scelta. Se nessuno mi avesse proposto questa missione, non l’avrei nemmeno immaginata. Da questo punto di vista questa missione è una risposta a una chiamata dove altri hanno deciso dove sarei andato, cosa avrei insegnato e per quanto tempo. Ma, è pur sempre vero che, se io non avessi risposto a quell’invito generico, riconoscendolo proprio come un invito rivolto anche a me, questa missione non ci sarebbe stata. Da quest’altro punto di vista, quindi, questa missione è una mia scelta di fronte a un invito che solo la mia decisione ha trasformato in una chiamata alla missione. Credo che la vita di un cristiano si dispieghi sempre in un dialogo con il Signore nel quale, se da un lato, come sulle rive del lago di Galilea, Gesù ci chiama a seguire Lui, dall’altro lato, nell’uomo che ascolta questa parola si sprigiona tutta la creatività e la fantasia caratterizzeranno in modo del tutto personale la sua storia di discepolo nella Chiesa.

2. “Sì, d’accordo, ci hai raccontato come è nata la cosa, ma… perché?”: mi pare di sentire affiorare già quest’ulteriore domanda! Perché? La mia disponibilità iniziale è stata, all’inizio, quasi istintiva. In realtà “sotto sotto” c’era qualcos’altro che solo lentamente ho saputo riconoscere grazie a uno dei brani di Vangelo che mi hanno accompagnato spesso dall’adolescenza fino ad oggi. Mi riferisco all’incontro tra Gesù e quel “tale” (“giovane”) ricco che, correndo incontro a Gesù gli chiese cosa avrebbe dovuto fare per avere la vita eterna. Spesso avevo riflettuto sullo sguardo di Gesù (“fissatolo, lo amò”), sulla bontà del Padre (“Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo”), sull’invito di Gesù (“Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”), sulla tristezza di quel giovane (“egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni”) e sulla promessa di Gesù ai discepoli (“In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto…”).
In questi mesi, però, ho colto in modo del tutto nuovo il senso dell’invito di Gesù. Perché – mi sono detto – Gesù ha chiesto a quel giovane di dare tutto e di seguirlo? Ecco la risposta che, in modo del tutto spontaneo e convincente, mi si è imposta: perché Gesù ha compreso che era proprio questo quello di cui quel giovane aveva bisogno! Gesù non pensa innanzitutto ai poveri e neppure alla sua missione. Se chiede di vendere tutto, darlo ai poveri e quindi seguirlo, non è perché i poveri hanno bisogno di qualcosa o Gesù stesso ha bisogno di un altro discepolo… ma è perché quel giovane ha bisogno… di donare! Gesù si preoccupa solo di lui. Il “vendere tutto e darlo ai poveri” non è il sacrificio necessario per seguire Gesù e quindi il lasciapassare entrare la vita eterna (come se seguire Gesù significasse sacrificare la gioia della nostra vita in attesa di un’altra vita)! Quella richiesta svela a quel giovane quello di cui lui ha bisogno per entrare (già ora!) nella vita eterna: donare tutto. Questo è il segreto della vita. L’avevo già scoperto, molti anni fa quando diciottenne, il 26 settembre 1988, sono entrato in seminario. Ma l’ho “sentito” risuonare ancora una volta nelle stesse parole che Gesù oggi mi ha rivolto quando, ormai quarantenne, l’ho accostato con la stessa domanda di quel giovane: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. A questo punto, perché, dunque, parto? In definitiva, potremmo dire, parto perché Gesù, intuendo nella mia inquietudine che ciò di cui avevo bisogno era ancora una volta donare tutto, mi ha chiesto di seguirlo dando tutto. Tutto qui. E in questo senso trovo del tutto azzeccata la scelta di intitolare la giornata missionaria “Rigenerati dal dono”. Solo una vita donata ci rigenera, così come, all’inizio, solo il dono reciproco di un uomo e una donna ci ha generati.

3. Credo di avervi così detto molto. Ma intuisco ancora alcune domande. Provo a esplicitarle in modo casuale. Qualcuno potrebbe pensare – e in effetti qualcuno me lo ha detto – che la missione “vera” in realtà sia qui, dove ci sono molte povertà invisibili! Se è così, perché partire allora? Credo che sia proprio vero. C’è una missione urgentissima anche in Occidente. E ormai sono alcuni decenni che i vescovi ci invitano alla nuova evangelizzazione. Credo però che la domanda che ciascuno deve farsi non sia: “Dov’è più urgente la missione?”, ma piuttosto: “Dov’è la mia missione? Dove il Signore chiama me?”. In questo senso io ho riconosciuto la voce del Signore nell’invito a partire in questa missione. Se quel giorno il rettore ci avesse proposto qualcos’altro, forse sarei andato da un’altra parte o avrei fatto qualcos’altro. Ma così non è stato. E in quello che è accaduto, concretamente, ho riconosciuto la mia missione. Qualcun altro insiste: “Ma non ti dispiace?”. Certo che mi dispiace! Mi è sempre dispiaciuto lasciare una comunità per un’altra comunità. Oltretutto in quest’ultima comunità pastorale mi trovo benissimo con tutti, bambini, adolescenti, giovani, famiglie, preti…! Ma, in un certo senso, è proprio questo “troppo” che mi spinge a rimettermi in gioco, a dare tutto! E’ la gratitudine per un dono immenso che trovo nell’affetto e nell’amicizia di tantissimi, che mi spinge a sentire il bisogno di donare a mia volta tutto.
Ancora. “E se ti sentirai solo?”. Altra domanda. Certamente mi sentirò solo. Ma chi non è solo? C’è una solitudine nella quale solo il Signore, se glielo consentiamo, ci fa compagnia! Però, non voglio neppure dimenticare che dovunque sono stato, finora, ho sperimentato concretamente (questi sono fatti, non parole!) la verità della promessa di Gesù che ho già ricordato: “Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna”. Questa promessa si è compiuta infinite volte. E questo mi invita a pensare che sarà ancora così. Anche in Brasile troverò persone che per me saranno come madri, padri, fratelli, sorelle e per le quali io sarò figlio, padre, fratello… E poi, sono profondamente convinto che nella vita nulla di quello che costruiamo sull’amore si perde. Mai. Tanto meno le persone che abbiamo amate!

*

La missione si svolgerà nella diocesi di Castanhal, nei pressi di Belém, dove ha sede l’istituto di teologia presso cui inizierò ad insegnare nella prossima primavera. La partenza è prevista per la fine di ottobre.

don Davide d’Alessio

12 novembre 2011 – Il primo racconto

12 novembre 2011

Cari amici,
in questi giorni sono così tante le cose che sento, vedo, ascolto… che sono frastornato. Vorrei però condividere con voi la mia giornata di domenica 6 novembre. Premetto che in questo momento abito nella casa del vescovo, a Castanhal. Qui ci sono anche padre Pedro, padre Marco, padre Marcel e un gruppo di seminaristi. In queste settimane mi sono sempre affiancato a uno di questi padri, accompagnandoli nelle loro comunità. Settimana prossima andrò a vivere tutta settimana con padre Renato, un prete bresciano di circa 68 anni, parroco della parrocchia di Inhangapi. Mi hanno infatti suggerito tutti – e mi è sembrato saggio – di avere pazienza e di conoscere il più possibile la realtà della diocesi. Ma torniamo a domenica 6 novembre…

Mi ero accordato con una donna, Raimunda, che avevo conosciuto durante il mio viaggio di maggio, di andare a far visita alla comunità “kilometro 7” (che nome!) che avevo conosciuto sempre in maggio con padre Mario Antonelli. Mario abitava in quella comunità. Ebbene, Beto, il marito di Benedita, doveva venire a prendermi in moto alle 11.30. Ero un po’ timoroso perché non amo molto le moto e qui le strade sono piene di buche e ogni settimana ci sono incidenti mortali… Arrivati, abbiamo pranzato a casa di Beto e Benedita, c’era anche Raimunda. E c’erano i bambini: Richard e Adalberto, mentre Lucas Mateos dormiva e Kattlyn (8 anni), la maggiore, è arrivata più tardi. Quando mi ha visto mi ha abbracciato, ricordando quando ci siamo conosciuti in maggio. C’era moltissimo cibo sulla tavola. Ogni tanto arrivava qualcun altro e, qualcuno dei presenti si alzava, lasciandogli il posto. Così è venuta Cira con Jessica (il marito ha fatto una brevissima comparsi più tardi), irmã Francisca (cioè suor Francesca), Soccorro… e altre persone. Ne è venuto fuori un pranzo “continuo” dove gli invitati, tranne me, si sostituivano continuamente. C’era il caranguejo, patate, insalata, frango assado… c’era la pasta “macarão”, cioè pasta italiana (in questo caso spaghetti)… Dopo pranzo mi hanno offerto la possibilità di “descanso” cioè di “riposarmi”, nella loro camera da letto. Ho accettato così da lasciar loro il tempo di sistemare con calma. Più tardi mi sono ritrovato con Benedita e i bambini. Il marito era al lavoro. I bambini mi si sono affezionati subito. Verso metà pomeriggio con Benedita, Cira e Raimunda e i bambini siamo andati a trovare alcune famiglie che ricordavo. Sotto un cielo grigio, andando su quelle strade di terra battuta, piene di buche, incontravamo altri bambini che si aggregavano a noi… Daìze, con Maria Clara (una bimba di due anni circa), è stata felice di vedermi: ora attende un altro bimbo. La loro casa era piena di bambini. Tutti solo con le mutandine. Ho incontrato anche i vicini di casa. La mamma Cristiane (21 anni circa!) con le sue bambine: Maria Eduarda e Maria Lorena che stava dormendo. Salutando altre persone lungo la strada abbiamo raggiunto la casa di dona Nazaré. Era felicissima di vedermi. Ha insistito perché entrassimo in casa e poi non sapeva più come scusarsi, vergognandosi, perché non aveva neanche una sedia (aveva però la televisione, accesa)! Ci siamo seduti per terra. Ci ha offerto un caffè. Ho accettato. Ma non avrei dovuto farlo. Non aveva infatti caffè in casa e ha dovuto insistere con un figlio perché andasse a prenderlo da qualche parte… Raimunda mi ha proposto poi di andare a trovare una donna, alla quale, proprio quella notte, avevano ucciso il figlio! Era il terzo figlio che perdeva in due anni! Una figlia le era morta per malattia, un altro figlio ucciso! Sedeva fuori dalla casa, molto povera. Sotto una piccola tettoia davanti alla porta di casa un’altra figlia allattava la bimba di 20 giorni, assistita da un’amica, credo. La povera madre, invece, sedeva un poco distante. Attorno a lei c’erano delle sedie vuote. Raimunda mi ha presentato brevemente. Ci siamo seduti in silenzio. Lo sguardo della madre era fisso nel vuoto, gli occhi umidi. Si è avvicinata una donna, le ha abbracciato la testa e l’ha incoraggiata ad avere forza in Dio. E’ scoppiata in pianto per qualche secondo, poi ha ripetuto: “Sì, solo Dio può darmi la forza”. Le ho chiesto il nome del figlio promettendogli che avrei pregato per lui nella messa della sera. Al momento non mi ha detto nulla, ma quando ci siamo alzati e l’abbiamo salutata, mi ha chiesto se davvero l’avrei ricordato durante la messa. Quando l’ho confermato, ha annuito con riconoscenza. Con Raimunda, vero angelo custode, mi sono incamminato in silenzio verso la casa di Benedita. Lì si son fatto una doccia (loro ne fanno anche 5 o 6 in un solo giorno), quindi mentre attendevo che anche Benedita si preparasse ho giocato con Kattlyn e Richard a “Rei, Banana, Carrasco”, un gioco… con le ciabatte!

La messa è stata molto bella. Il clima era molto accogliente. Tanta gente. Il salone era pieno. C’erano anche tanti bambini, che entravano e uscivano (non ci sono infatti finestre e porte come le intendiamo noi, ma solo il riquadro nel muro). Io ero molto stanco, stordito. Oltretutto c’era poca luce, il tavolo che serviva come altare era basso… dovevo tenere in mano il messalino perché altrimenti non riuscivo a leggere. Con l’altra mano reggevo il microfono. Girare le pagine diventava un’impresa. Mi sono presentato e ho fatto del mio meglio. Mi spiaceva però non poter parlare con scioltezza, dover leggere una piccola riflessione anziché parlare guardando in volte le persone, non potermi rivolgere liberamente ai bambini… Il momento dello scambio della pace con tanti abbracci è sempre uno dei momenti più belli. In queste piccole comunità tutti, ma proprio tutti, si abbracciano.
Dopo la messa ho salutato alcune persone… irmã Francisca voleva darmi i soldi raccolti come offerte, secondo il loro uso, ma ho rifiutato subito senz’indugio, dicendo che lasciavo tutto alla comunità. Benedita, sentendomi, disse che ero un “verdadeiro padre italiano”! Mi sono seduto accanto a Cira. Mi disse che era triste e felice, insieme. Avevo colto che c’era “qualcosa”. Oltretutto a messa era arrivata tardi. Mi ha invitato ancora ad andare a trovarla, vorrebbe parlarmi… Fuori, nel prato tra la sala della comunità e la casa di irmã Francisca, mentre la gente si raccoglieva attorno a un piccolo palco dove alcuni giovani suonavano, ho scelto di giocare con i bambini. Qualcun altro si aggregava. Mi prendeva la mano. Una bambina, bellissima, dopo aver chiesto tre volte a Jessica “Quem é ele?” (Chi è lui?), mi ha sorriso e ha voluto prendermi la mano. Altri ragazzi sapendomi amico (pensavano “irmão”, fratello) di padre Mario mi hanno stretto la mano con stima… Un’ultima sosta nella casa di irmã Francisca, sono ripartito in moto…
Mi sono sentito come… “allucinato”. Troppe emozioni, sentimenti, frammenti di pensieri… neanche quando mi sono seduto, con calma sono riuscivo a riflettere. Le immagini si susseguivano una dopo l’altra. Ho sperimentato l’accoglienza gratuita di persone che appena mi conoscevano, la generosità di persone poverissime, quanto grande può essere la gratitudine per una visita, gli abbracci di altri fratelli e sorelle nella fede, la dignità di una madre nel momento del dolore, la fiducia sorridente dei bambini, la presenza passo passo di qualcuno perché non mi sentissi solo… la fede di Dio presente nel mistero della vita e della morte…

21 dicembre 2011 – Gli auguri

Natale 2011

Carissimi amici,
ormai sono trascorsi quasi due mesi, dal mio arrivo in Brasile, il 28 ottobre e vorrei raccontarvi qualcosa di quello che ho vissuto in questo periodo, anche se è davvero difficile raccogliere i pensieri..

1. Una sensazione mi ha accompagnato in tutto questo tempo. O, meglio, un sentimento: la gratitudine. Quando prego, al mattino, dedico sempre un po’ di tempo a ricordare tutte le persone con cui ho condiviso il mio cammino finora, nelle diverse comunità, in Italia. In particolare, ricordo con un’intensità fortissima l’ultima domenica trascorsa nella comunità pastorale… la messa al mattino, i giochi e, soprattutto, i saluti interminabili nell’oratorio di Aicurzio. Come in un film, bellissimo, rivedo i volti di tutti: i bambini, i primi che, quando don Luca ha detto: “Adesso se volete potete salutare don Davide”, mi sono corsi incontro, poi gli adolescenti, i giovani, le famiglie… rivedo le lacrime sui volti di tanti e sento ancora il calore degli abbracci! Se chiudo gli occhi vi rivedo tutti… e come vorrei riabbracciarvi!
Ma la gratitudine in questi mesi è anche nei confronti di questa terra, di questa chiesa brasiliana. Ora abito ancora in casa con il vescovo e altri sacerdoti. A volte sono un po’ solo… desideroso di potermi buttare a capofitto in qualche comunità, ma seguo pazientemente il consiglio che mi è stato dato, quello di conoscere meglio la realtà, prima di avventurarmi da solo… Su invito di qualche confratello, qualche volta celebro la messa in una delle tante comunità. Ogni parrocchia qui è composta da tante comunità (possono essere anche oltre 100!), dove normalmente la domenica si celebra il culto della Parola, perché il parroco si reca a celebrare la messa una volta al mese (a volte, però, solo una o due volte all’anno!). Le comunità sono molto povere e, spesso, piccole. A volte non hanno una chiesa vera e propria e neppure una costruzione che possa servire come chiesa… Il clima però è sempre bello. Quando celebro la messa in queste comunità sono felice. I canti sono semplici, ma “caldi”, spesso accompagnati da alcuni gesti… C’è un canto che sostituisce il saluto iniziale (Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo) e che termina… con un applauso! Vi immaginate? Ci sono molti giovani e, spesso, molti bambini. Allo scambio della pace i bambini salgono o si avvicinano all’altare a ricevere la pace del sacerdote… amo moltissimo questo momento: gli vado incontro e mi attardo a scambiare la pace anche con la gente… Tutto questo suscita un senso di gratitudine grandissimo. Gesù ha promesso ai suoi discepoli che sarebbe sempre stato con noi… non ci ha promesso che ci sarebbe sempre stato qualcuno con cui pregare! Ecco: trovare fratelli e sorelle che pregano lo stesso Padre e in nome di questa fede mi accolgono con semplicità, gratitudine, affetto… tutto questo suscita un senso di gratitudine molto grande.
A proposito delle comunità, vi racconto un paio di episodi simpatici. Una sera (perché qui la messa è al mattino presto, alle 7 o alle 9, e alla sera alle 19.30; di giorno fa troppo caldo!) vado a celebrare la messa in una comunità dove il parroco, non potendo essere presente, mi ha chiesto di sostituirlo. Quando arrivo, scopro che è un momento di festa, la festa di quella comunità. Ci sono molti bambini. Mi spavento un po’, perché è sempre difficile parlare ai bambini e catturare la loro attenzione dovendo parlare in un’altra lingua! Ma tutto va molto bene. Alla fine, sono soddisfatto. Siedo all’esterno, mangiando e bevendo un “piatto” di tacacá (un intruglio strano, salatissimo, fatto di brodo, calamari e erbe). Arriva una bambina, avrà avuto più o meno 5 anni, e mi dice: “Por que o Senhor fala inglês?” (Perché lei parla inglese?). Le ho fatto ripetere tre volte la domanda… poi, finalmente, ho capito e le ho risposto sorridendo: “perché… sono italiano!“. Quella bambina, sentendo un accento strano pensava che io parlassi inglese! E io che mi illudevo di aver parlato bene!
Un’altra volta, invece, dopo aver celebrato la messa nella cattedrale di Castanhal, alcune coroinhas (chierichette) mi dicono: “Nòs coroinhas gostamos muito do Senhor!” (A noi chierichetti lei piace molto). “Porque?”, chiedo. E loro: “Porque o Senhor è… legal” (perchè lei è legal). “Legal?“, ho chiesto. “È. Legal!” (Sì, legal) hanno ripetuto annuendo. Legal: una parola intraducibile. Vuol dire tutto, un po’ come “cool”, in inglese. Giusto, positivo, bello. In quel caso voleva dire: “Sei ok!”. Sono scoppiato a ridere.
2. In questi giorni ho la sensazione che un primo periodo della mia esperienza sia terminato o stia terminando. E’ un tempo che definisco… “turistico”. In questi mesi ho cercato di conoscere tutto quello che potevo della diocesi, dal cibo ai luoghi, dalla lingua alle abitudini. All’inizio, il primo mese, ho accompagnato diversi padri (qui solo il vescovo è “dom”, i preti sono “padres”) nella loro pastorale. Ho partecipato all’assemblea diocesana (spaccato interessante sulla diocesi); al servizio della “mensa della carità” che tutte le sere porta una minestra calda in ospedale e a diversi “moradores de rua” che dormono qua e là sulla strada; ho predicato un ritiro di due giorni ai diaconi permanenti (!); ho chiacchierato con diversi padri, con i seminaristi… E’ stato un periodo interessante, di curiosità, di meraviglia, di novità… ora inizio a sentire il desiderio di iniziare una vita… diciamo così… “normale”. Ma non è semplice! Se la normalità, normalmente, è data da una casa (da una famiglia), da una comunità (amici!), da un lavoro… nel mio caso si tratta di scegliere una casa dove abitare stabilmente, avere una parrocchia dove servire aiutando il parroco e insegnare all’istituto di teologia. La scuola inizierà in febbraio… la parrocchia, al momento, il vescovo sta valutando diverse possibilità e mi ha chiesto pazienza… La casa… ho deciso di abitare al Km 7 dove – ricordate? – ho trascorso quella domenica straordinaria. Anche se non sarà facile organizzarsi (e, in primo luogo, si tratta di comprare una casettina). A proposito, celebrerò là la messa della vigilia di Natale. Ci sono stato, al Km 7, anche martedì scorso, il 13 dicembre. Ho visitato la scuola. E’ una scuola di ensino fundamental, più o meno le nostre elementari. Ho pranzato con gli insegnanti e giocato (correndo a piedi nudi!) con i bambini. La sera ero distrutto e felice: la “magia” si è ripetuta. E’ sempre stato così. La semplicità dei bambini, l’affetto, il sorriso, la spontaneità… sono universali. Qui, però, devo dire i bambini sono davvero molto affettuosi. E’ bastato giocare un po’ con loro perché alcuni già il giorno dopo mi corressero incontro abbracciandomi.

3. Ora, infine, alcuni frammenti sparsi… il tempo: è difficile percepire il trascorrere del tempo. Sembra di vivere in un eterno presente. I giorni sono tutti uguali (sto aspettando la stagione delle piogge, per vedere un po’ cosa succede): sole, sole, sole. Nel pomeriggio il cielo si copre un po’, ma il caldo non diminuisce. Il sole sorge alle 6 e tramonta alle 18. Poco dopo è già notte fonda. E al mattino, alle 9, è già molto molto “quente”: caldo. Credo che il clima incida nella percezione della vita. Qui si vive al presente. E’ facile vedere, nel pomeriggio (ma anche al mattino) persone (soprattutto uomini) sedute, a dorso nudo, sotto un albero, davanti a una casa, a fianco di un baracchino dove si vende un po’ di frutta… così, ferme, senza far nulla. Sembra che la vita sia vita, e basta: dormire, mangiare, bere, respirare, riposare… e nient’altro. I giovani hanno una prospettiva diversa? Credo di sì, ma non so ancora bene. E’ vero, però, che molte ragazze restano incinta molto giovani. E allora iniziano a convivere, lasciando la scuola… anche l’abbandono scolastico in età adolescenziale è molto alto e la qualità della scuola lascia molto a desiderare. A proposito: le ragazze (meninas) a 15 anni celebrano una festa molto molto sentita. E’ la festa che decreta la loro “maggior età”: sono pronte per un’esperienza di fidanzamento ufficiale o serio (che molte di loro però non avranno mai perché resteranno incinta prima!). Questo senso del tempo inchiodato al presente spiega la calma, la tranquillità, il vivere alla giornata, ma anche una certa rassegnazione e pigrizia (!). E tutto si riflette in una concezione della vita che mi sembra molto ben interpretata dall’espressione (diffusissima): “Se Deus quiser” (se Dio vorrà). Tutto… se Dio vorrà! E’ un’espressione di fede, certo, ma mi sembra nascondere un certo fatalismo che, da un lato sembra accettare tutto quello che accade (bene e male) come voluto da Dio e, dall’altro lato, sembra dimenticare che anche noi possiamo qualcosa, o no? Sarebbe interessante cercare le origini di questa mentalità, certamente radicata nella cultura indigena e nella storia di sofferenza e violenza compiuta dai colonizzatori… ma anche riflettere sugli atteggiamenti che oggi ancora alimentano questa cultura (tutte le forme di assistenzialismo, tanto statali quanto religiose credo alimentino quest’abitudine a accettare tutto così com’è e a sperare/pretendere che qualcuno – sia Dio, lo Stato o la Chiesa, facciano qualcosa per me). “Se Deus quiser…!”. Se Dio vorrà! Ma cosa vorrà Dio?

In realtà, noi, quello che Dio vuole lo sappiamo… lo sappiamo bene da quella notte, ormai lontana, ma sempre vicina ai nostri cuori quando, svegliando i pastori, gli angeli hanno annunciato che è nato un salvatore! «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore » (Lc 2,10-12). Quello che Dio vuole… è che noi siamo felici (una grande gioia), vivendo come suoi figli e fratelli. Vi auguro di scoprire ancora una volta questo mistero, nella gioia di questo Natale! Auguri di cuore!

Don Davide

5 giugno 2012 – Buone vacanze

Caro [don] Luca, solo poche parole…
inizia l’estate… da voi!
Anche qui (da luglio a dicembre é estate, poi solo inverno), ma non ci si accorge… settimana prossima termino il primo semestre (ancora non ci credo), poi gli esami…
Luglio é mese di feria, con agosto inizia il secondo semestre, fino a dicembre.

In luglio accompagnerò padre Silvano Fausti nella settimana di lectio divina che propone, in forma residenziale, al centro pastorale della diocesi. Poi accompagnerò don Antonio Novazzi e altri preti milanesi che visitano i nostri fidei donum nel Maranhão (una settimana, piú o meno). E poi, l’ultima settimana di luglio, la camminata della gioventú… (che ti racconterò dopo averla fatta!)
E nel frattempo devo preparare le lezioni del secondo semestre…
Impossibile per me non pensare all’ “estate italiana”, all’oratorio feriale, alle vacanze in montagna…
E così ti scrivo per augurarti, per augurarvi, una buona estate, soprattutto ai bambini che parteciperanno all’oratorio feriale e alla vacanza e agli adolescenti e ai giovani che li accompagneranno. Pensando ai bambini che qui incontro, desiderosi di amicizia, di attenzione, di cura… riconosco ancora di piú la grazia (in senso teologico!) di tutte queste iniziative!
Un saluto affettuoso anche a don Bangaly e ai direttori dell’oratorio, impegnati in prima linea in tutte queste iniziative!
Ti abbraccio,
vi abbraccio

Con infinita riconoscenza,
dDavide

Questo è il mio nuovo indirizzo:
Pe. Davide D’Alessio
Av. Major Wilson, 481
Bairro Nova Olinda
68749-190 CASTANHAL – PA
BRASIL

2 gennaio 2013 – Testimonianza don Davide 1/3

Pubblicata il 13 gennaio 2013
Per coloro che l’avessero persa o per chi volesse riviverla, iniziamo la pubblicazione della testimonianza che don Davide d’Alessio ha tenuto Mercoledì 2 gennaio presso la chiesa di Bernareggio sul suo primo anno di missione in Brasile. Il racconto procederà a puntate, appena completeremo la trascrizione delle varie parti della registrazione. Accompagneremo il testo con le foto e la presentazione con don Davide ha preparato per l’occasione. Vuole essere un regalo che iniziamo a presentargli prima che parta nuovamente per il Brasile. Buona lettura.

ANTEFATTO:
Al termine della S. Messa del mercoledì sera, sono serviti alcuni minuti per allestire il proiettore ed il telo sull’altare e per permettere alle numerose persone presenti di prendere posto spostando, per esempio, alcune sedie nei corridoi tra le panche visto che non erano previsti movimenti, contrariamente ad una normale celebrazione. Il fervente lavoro e il prevedibile trambusto sono stati accompagnati dalle parole di don Luca

DON LUCA:
Io scusate, a questo punto, anticiperei il discorso che avrei fatto alla fine, voi finite pure con calma e fatelo bene!
Stasera siete qui in tanti e, se siete intervenuti, è perché siete sensibili a quanto sto per dirvi, oltre che amici, e vi chiederei di diffondere questo messaggio: qualcuno, e sto parlando molto concretamente di soldi (alla brianzola), ha fatto presente che dalle foto che don Davide ci ha mandato in questi mesi, si vede gente in giro a torso nudo, bambini in mutande, persone povere, presenza di criminalità ma allora perché don Davide vuol raccogliere dei soldi per portare dei giovani a fare un’esperienza di un viaggio col Papa a Rio de Janeiro?
Primo: non è un viaggio, ma è la Giornata Mondiale della Gioventù con il Papa e i giovani di tutto il mondo. Chi, come me, ha vissuto con amore queste cose, le ricorda come momenti di fede meravigliosa, e non soltanto di divertimento.
Secondo: quando vivi nella criminalità e nella povertà, la povertà più grande non è quella materiale, ma è culturale. Se ti faccio sempre vedere un mondo dove c’è il prete occidentale che ti dà dei soldi e delle cose e allora riesci a vivere bene, le cose non cambieranno mai. Se invece il prete occidentale ti fa vivere un’esperienza con il Papa, con la Chiesa e con altri giovani di tutto il mondo, che tu devi imparare a vivere in un modo diverso, secondo il Vangelo di Gesù e secondo la cultura cristiana (e per questo umana), allora torni a casa che, magari non hai i soldi in tasca, ma sei più ricco dentro. Sei meno ignorante e per questo meno povero! Questa è per me l’idea geniale e importantissima che voi dovrete spiegare a chi vi chiederà questa cosa.
Anche l’esempio del Vangelo è significativo: quando Maria, la sorella di Lazzaro, versa del nardo profumato sui piedi di Gesù, qualcuno dice: “Perché tutto questo spreco? Questi soldi si potevano dare ai poveri”. A parte che chi dice così, spesso non tira mai fuori un “ghello” per i poveri (la mia esperienza dice che chi dà per i poveri, son gli stessi che offrono anche i soldi per restaurare gli affreschi o per sistemare gli oratori), chi ha il gusto della bellezza, della cultura, della poesia e dell’arte sono gli stessi che aiutano di più i poveri: le due cose devono andare insieme. Noi, nell’anno della crisi, stiamo restaurando gli affreschi della chiesa che è il gioiello della nostra Comunità pastorale: quella di Sant’Ambrogio a Sulbiate, dell’anno mille che, finita nell’anno della fede, vi inviteremo a visitare. L’anima e il corpo non devono essere scissi: se sei ricco nell’anima, poi nutri anche il corpo e impari a farlo tu, non aspettando che qualcuno arrivi a darti. Non ti do il pesce, ma per insegnarti a pescare faccio più fatica, ci vuole più tempo e cultura, più progetti come questo.
Taglio la testa al toro e concludo, così iniziamo con un applauso di festa: questa sera ringrazio tutti quelli che hanno fatto il mercatino la settimana prima della Giornata Missionaria Mondiale per don Davide nelle quattro parrocchie, ringrazio chi ha fatto il mercatino nei vari oratori, ringrazio chi ha fatto il mercatino di Natale qui a Bernareggio e tante altre cose. Ringrazio tutti i privati che hanno voluto e vorranno rendersi presenti a don Davide.
Stasera, nel segno della massima trasparenza, don Davide mi ha comunicato che dai privati ha già ricevuto quasi 9000€ (e il suo obiettivo per il progetto era di 5000€). Dai mercatini citati, dall’associazione don Mario Ciceri e da altri gruppi che hanno voluto fare qualcosa, sono arrivati altri 8500€. Quindi vedete che si potranno anche realizzare dei progetti di aiuto per i poveri in loco, ma l’idea geniale è la prima: quella di dare cultura e ricchezza interiore. È la vera rivoluzione che va fatta lì: una rivoluzione semplicemente cristiana.
Grazie a tutti voi e grazie a don Davide!

ANTEFATTO 2:
Preparato il tutto e iniziata la presentazione con le foto, il proiettore dava un colorito molto rosato alle immagini rendendole talvolta incomprensibili. Il fatto ha lasciato alquanto interdetto il preciso don Davide che più volte si è scusato dell’accaduto. Comunque non temete, vi eviteremo questi passaggi e accompagneremo il testo con le giuste foto che don Davide ci ha fatto avere.

DON DAVIDE:
Buonasera, innanzitutto e, continuando le parole di don Luca, esprimo fin da subito un ringraziamento sia per il contributo generoso che mi è stato dato, sia per l’accoglienza calorosa di questa sera e fin da quando sono tornato in mezzo a voi. Tutte le volte che in Brasile io pensavo alla Comunità Pastorale, questa che è stata l’ultima dove io ho prestato il mio servizio, ho sempre sentito risorgere in me l’affetto che ha caratterizzato la nostra esperienza. Per cui il mio ringraziamento è soprattutto per l’affetto, per la preghiera e l’amicizia che ho percepito.
Ho pensato molto a proposito di quello che avrei potuto dirvi questa sera e ho fatto alcune scelte; mi sono passate per la mente tante idee e vorrei cominciare con un’introduzione per dirvi dove mi trovo e cosa faccio, poi vorrei soffermarmi su tre aspetti che mi sembrano quelli che mi hanno toccato di più:
Il primo è la religione, la chiesa;
Il secondo è la vita e dove abito al Km 7;
Infine una riflessione sull’idea di missione che sta nascendo in me durante quest’anno.
Poi vorrei lasciare del tempo per qualsiasi domanda: ho già fatto un incontro simile in un’altra parrocchia e devo dire che le domande molto spesso hanno avuto la capacità di puntualizzare alcuni aspetti che a me non sono venuti in mente e che comunque sono molto interessanti.

Come introduzione una semplice parola su dove mi trovo perché, lo dico adesso e poi lo ripeterò, il Brasile è grande quasi come l’Europa per cui la mia testimonianza è come quella di uno straniero che passasse un anno a Bernareggio e, tornando a casa, avesse la pretesa di raccontare come è tutta l’Europa. Così io non ho la pretesa di dire cosa succede o come è tutto il Brasile se qualche volta dirò “il Brasile” o “i brasiliani”, farò riferimento soltanto a quei pochi luoghi che ho visto e che possono essere una risonanza di quello che accade in altre aree, ma certamente il mio punto di osservazione è molto limitato.

Dall’Italia al Brasile sono quasi 18 ore di volo il Parà è uno degli stati a nord del Brasile. La sua capitale è Belem che quasi dà sull’oceano, ma in realtà è sull’estuario del Rio della Amazzoni e penso abbia 1,5 milioni di abitanti. Da Belem a Castanhal ci sono circa 70-80 Km; Castanhal è più ridotta, avrà tra i 100 e i 150 mila abitanti, ed è la città che dà il nome alla diocesi presso cui io svolgo il mio servizio; una diocesi che ha pochi anni di vita, circa 6. Dall’Italia al Brasile, al Parà, a Castanhal, al Km 7 o “congiunto San Carlo Borromeo” che è il luogo dove abito.

La storia di questo luogo è molto particolare: si chiama in questo modo perché dista 7 Km da Castanhal; ha pochi anni di vita e le persone che abitano qui, più o meno la metà (e sono circa 120 famiglie), in origine abitavano in un terreno “invaso”. Nella regione dove mi trovo, qualche volte capita il fenomeno delle “invasioni”: della gente povera invade un terreno. Ci sono dei latifondisti che hanno dei terreni sterminati e le persone povere invadono questi terreni e iniziano a costruire una baracca, una casetta e così via. Purtroppo c’è gente che si approfitta: invadono un terreno, costruiscono una casa, la vendono e prendono dei soldi. Spesso, perlomeno lì dove mi trovo, dicono che il comune tenta di mediare con il proprietario del terreno per non mandare via la gente, semplicemente comprando il terreno e in qualche modo facendolo pagare a rate.
La storia di questo congiunto nasce quando queste persone, la maggior parte perché alcuni han già cambiato casa, avevano invaso un terreno che apparteneva ad alcuni religiosi. Questi religiosi avevano tentato di iniziare un’azione giudiziaria e di espellere questa gente; il vescovo ha tentato una mediazione ma la storia, sentita raccontare dalla gente, è molto drammatica perché si sono svegliati al mattino molto presto circondati dalla cavalleria dell’esercito che ha distrutto tutto in un istante; questa gente si è trovata senza casa e senza niente. Allora il vescovo ha deciso di ospitare queste persone sulle fondamenta della cattedrale che stavano costruendo e là sono rimasti 11 mesi. In quel frangente padre Mario Antonelli, prete di Milano che abitava in casa del vescovo, ha iniziato a visitare questa gente e quando la diocesi, che si è fatta mediatrice con il comune e con la banca locale, ha costruito questo congiunto, padre Mario si è trasferito e ha iniziato ad abitare con questa gente. Padre Mario era anche lui un prete del seminario ed è così che è nata la mia storia: quando lui è tornato in Italia, hanno chiesto se qualcuno era disposto a prendere il suo posto, sia come insegnante, innanzitutto, sia come formatore nella diocesi.
Dopo aver passato alcuni mesi in casa del vescovo, io ho scelto di abitare nello stesso posto perché non volevo ripetere in Brasile la stessa esperienza che già avevo fatto in Italia abitando in un seminario, un ambiente “protetto” dal punto di vista religioso, ma volevo vivere con le persone più semplici, le persone del popolo. Attraverso la mediazione proprio di padre Mario, ho potuto iniziare a vivere in questo luogo. Dopo un anno sento che non avrei difficoltà ad accettare di vivere in qualsiasi luogo, senza conoscere nessuno; appena arrivato, un anno fa, non era così semplice. Così come ho scritto, la mia sensazione (che era solo mia) era di essere un intruso in un luogo d’altri per cui il fatto di poter abitare nello stesso luogo dove ha abitato padre Mario mi ha aiutato molto.

Le immagini che adesso vediamo sono di questo luogo: questa è la via dove io abito, in fondo a destra, quella di prima era il centro del congiunto, questo è il retro della mia casa e questo è il davanti.

Io ho comprato la casa e ho fatto costruire un garage perché ho comprato anche la macchina, indispensabile per potersi spostare. Naturalmente per costruire una casa, una stanza o un garage non servono permessi di nessun tipo, basta farlo e lo si fa.

Questo è l’interno: volevo farvi vedere una casa di 36 metri quadrati con una stanza, un letto e una cucina piccolina, più un’altra stanza che io ho adibito ad accogliere eventuali ospiti. La casa è piccola, ma ci sono famiglie anche di 8 – 10 persone che abitano nella stessa casa, condividendo gli stessi spazi.

Questi sono il davanti e il lato della mia casa: è interessante questa foto perché lì, come in molti luoghi, appena ci si allontana dal centro della città, la strada è in terra battuta e quando piove, come in questo caso, si trasforma in un fiume, letteralmente un fiume, e bisogna solo aspettare che passi la pioggia.

Quello che vi ho detto è solo un’introduzione per dirvi dove mi trovo e il mio punto di vista: lo stato del Parà, capitale Belem, città di Castanhal, Km 7, congiunto di circa 100-120 persone che si sono trasferite in questo luogo dopo che ci sono stati questa invasione e questo episodio drammatico che ha sconvolto la diocesi perché, se da un lato questa gente povera aveva invaso un terreno, dall’altro lato erano dei religiosi che li avevano cacciati fuori casa distruggendo tutto. Allora il vescovo si è fatto carico di questa gente.

Adesso vorrei entrare in merito di alcuni aspetti forse più interessanti: il primo è la chiesa, il secondo, come vi dicevo, alcuni aspetti della vita al Km 7, e il terzo aspetto è l’idea di missione che in questi anni ho maturato.

 

 

La chiesa
A proposito della chiesa vorrei cominciare però facendo ascoltare un canto:

Questo canto è una delle prime cose che mi hanno colpito perché è un canto che qualche volta ho ascoltato, ho visto cantare e abbiamo cantato all’inizio della Messa. Immaginatevi di cominciare la Messa con un canto del genere: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” e tutti che cantano e iniziano a fare i gesti e poi, sulla parte finale, tutti battono le mani. È una cosa che, fin dall’inizio, mi ha colpito molto perché, immaginatevi di iniziare la Messa con un canto del genere! Non tutte le comunità sono attrezzate per cantare in questo modo con gli strumenti musicali, ma se una parrocchia è attrezzata per farlo, può succedere che si inizi la Messa con un canto come questo, coinvolgente fin da subito. Tutti i canti sono accompagnati spesso dal battito delle mani o dai gesti e c’è una certa vivacità.
Dunque: la Chiesa. La diocesi di Castanhal e le diocesi del nord del Brasile sono formate da diverse parrocchie e tutte le parrocchie sono formate da diverse comunità. Io ho sorriso quando ho pensato alla nostra Comunità Pastorale che è formata da quattro parrocchie, là è il contrario: una parrocchia e tante comunità. Quante comunità? Possono essere 100, 120, distanti anche 100 km dalla chiesa parrocchia. Quanti parroci, quanti preti? Uno! Ci sono quindi comunità che hanno la possibilità di ricevere il sacerdote e celebrare l’Eucarestia una volta al mese a dir tanto, ci sono comunità che, invece, ricevono la possibilità di celebrare la Messa una volta l’anno. È spesso dovuto anche alle difficoltà di accesso: quando capita il periodo delle piogge, le strade diventano meno percorribili e diventa più difficile raggiungerle.
Io ho celebrato all’inizio di dicembre la Messa in una comunità che, mi dicevano, la Messa precedente l’avevano celebrata il gennaio dell’anno scorso. Questo dice che diventa importante la figura dei coordinatori, dei laici o dei diaconi quando ci sono, ma non è facile ritrovarsi e coordinarsi. Devo dire che dal nostro punto di vista, la nostra esperienza di Comunità Pastorale mi ha aiutato ad entrare immediatamente in questo ordine di idee.

La fede
Un altro aspetto che colpisce fin da subito di questo popolo è la fede che è molto semplice, ma non per questo meno autentica, anzi, è molto semplice ma molto reale e concreta. Una fede che potremmo riassumere così: tutto quello che capita nella vita di buono, certamente è Dio. Io mi sono accorto che noi usiamo il più delle volte l’espressione “per fortuna” (per esempio: “Sono tornato presto dal lavoro: per fortuna, perché volevo partecipare all’incontro”). Se noi dovessimo tradurre in portoghese questa frase, non potremmo utilizzare l’espressione “per fortuna”, non funzionerebbe; l’espressione è “graças a Deus”, “grazie a Dio”. Certo diventa un’espressione linguistica per cui è quasi un modo di dire, non è che uno ci pensa, ma “grazie a Dio”: una cosa è andata bene non “per fortuna”. E tutto quello che accade di buono, appunto, è Dio. In questi giorni ho ascoltato la notizia di un bambino piccolo, di 11 mesi, che è caduto in un secchio in casa a Rio de Janeiro e ha rischiato di morire soffocato: hanno chiamato i pompieri, uno di loro ha preso una biro, ha tolto la cannuccia, l’ha messa in bocca al bambino, ha soffiato e aspirato ed è riuscito a rimettere in movimento il respiro, l’hanno portato all’ospedale e si è salvato. Quando li hanno intervistati, i genitori hanno detto: “È un miracolo!”. È interessante perché io ho avuto la sensazione che noi, soprattutto, cogliamo le cose che non funzionano e ce la prendiamo con Dio, capita di dire: “Perché è successa questa cosa proprio a me?”. Là sembra che, anche se tutto è difficile, appena c’è una cosa buona è grazie a Dio. Anche il linguaggio è pieno di queste espressioni religiose perché se Dio esiste, è concreto, è reale, è percepibile, è tangibile, quindi lo vedo.
Io ho la percezione di far fatica quando parlo al popolo, alla gente semplice, perché il nostro modo di parlare è sempre un po’ concettuale, astratto, intellettuale; per loro bisogna semplificare molto il discorso, deve essere molto più concreto. Dietro ad una parola ci deve essere una realtà, così dietro alla parola “Dio” ci deve essere una realtà, con certezza e sicuramente. Se Dio esiste ed è così concreto, lo vedo, e se lo vedo lo spiego e lo manifesto. È per questo che di Dio si parla, la parola è dentro al linguaggio, ma lo si scrive dappertutto: sulle macchine “regalo di Dio”, sugli autobus comunali frasi di un santo, sulle magliette (immaginate un giovane o una persona con una maglietta con su il volto o una statua della Madonna). Gli uomini che partecipano al gruppo del rosario degli uomini hanno una maglietta con scritto: “rosario degli uomini”. C’è questo senso di appartenenza che si esprime anche nell’usare una camicetta o una maglietta. Tutto diventa un’appartenenza e quindi la si esprime senza quel senso di vergogna che noi abbiamo e senza quel senso di polemica e di critica che noi avvertiamo quando, per esempio, si discute se mettere o no, se è un’offesa o no, il crocifisso nelle aule. Dio esiste, certo che esiste, non c’è dubbio che esiste: lo sento e lo vedo, lo manifesto e lo esprimo. Per dirvi la differenza rispetto alla nostra cultura: quando io sono arrivato a Castanhal ho visto la cattedrale. Il vescovo, don Carlos, è un bresciano che è in Brasile da trent’anni e ha costruito questa cattedrale che è moderna e molto bella. Ebbene, quando sono arrivato ho pensato: “Sarà il caso di costruire una chiesa del genere con tutte le esigenze della gente?”. Devo dire che sulla bocca dei brasiliani non ho mai sentito una critica nei confronti della cattedrale, anzi, l’orgoglio per avere una chiesa come espressione della fede in Dio.
Vi dicevo di questa presenza di Dio che si manifesta sulle magliette, sulle auto, sulle insegne dei negozi, ma non posso dimenticare la musica! Ci sono dei gruppi che cantano musica religiosa: così come noi abbiamo i cantautori, loro hanno cantautori e cantautrici di musica religiosa che riempiono gli stadi. A volte sono dei preti, ma non necessariamente, e questa musica può essere utilizzata anche nella liturgia. Vorrei farvi sentire, a proposito, un’altra canzone che ho ascoltato diverse volte e che effettivamente dà l’idea di una partecipazione corale, come se si fosse in un concerto di musica leggera.

Ecco, immaginate un canto di offertorio cantato così. Non è che sia sempre è così, ho detto, ma nelle comunità più organizzate, dove c’è qualcuno che suona e canta, può venire fuori qualcosa del genere. Sono interessanti poi le espressioni della religione: la benedizione, i sacramenti, le novene, le processioni, quegli aspetti che per noi sono un po’ più tradizionali, che un po’ noi giovani “snobbiamo” perché ci sembrano espressioni del passato.
La processione in Brasile è una delle espressioni religiose più apprezzate: ce n’è una famosissima a Belem, una processione che raccoglie milioni di persone, ma di cui non voglio parlarvi perché io personalmente non l’ho vista. C’è invece un pellegrinaggio che si è svolto a Castanhal, cui ho partecipato, e che effettivamente raccoglie molta gente. Il mio vescovo dice che, se devi fare un’iniziativa in Brasile, devi inventarti una camminata. La gente va, prega, parla, canta, si saluta, ma intanto cammina per kilometri.
Sono espressioni di fede più tradizionali, che dal nostro punto di vista sono più descrivibili come qualcosa di sacro, ma una delle difficoltà e delle attenzioni che dobbiamo cercare di avere quando entriamo in una cultura diversa è sapere che non possiamo comprenderla e quindi non dobbiamo giudicare secondo le nostre categorie. Dicevo, vicini al mistero del sacro nel senso che il sacro, se ti raggiunge, efficacemente, comporta un beneficio; questo potrebbe avvicinarsi al concetto di superstizione e di magia, ma credo che siano categorie che non dobbiamo utilizzare con facilità. Però è interessante che quando passa nella processione l’immagine o la statua della Madonna, la sensazione è che passi davvero la Madonna: l’atteggiamento della gente è così affezionato e coinvolgente, sono portati ad avvicinarsi e a toccare, che viene da pensare che questa gente non stia vedendo un’immagine, ma Nostra Signora la Madonna. È facile, dopo la Messa, vedere gente in ginocchio con la mano sul tabernacolo perché, se Dio esiste, io lo tocco e questo mi fa bene.
La benedizione nelle novene si fa con un ramoscello o con un ramo e un catino d’acqua e non è il nostro aspersorio, ma devi proprio intingere e “lavare” queste persone che si dispongono a prendere l’acqua benedetta. Noi potremmo sorridere di fronte a queste cose, ma io la penso così: se la benedizione è reale, se Dio sta benedicendo la mia vita, come me ne accorgo? Me ne accorgo anche perché l’acqua mi raggiunge, mi tocca, qualcosa mi viene addosso e dunque è una sensazione molto concreta. Uno dei giovani con cui andrò a Rio de Janeiro, quando abbiamo iniziato i lavori, mi ha detto – Sai, ho incontrato uno che non partecipa ai nostri incontri e mi ha detto: “a cosa serve tutto questo lavoro per andare a vedere il Papa?” – e lui, sapete cosa gli ha risposto? – Ma come, con tutto quello che fa Dio per noi! – Come per dire, con tutto quell che Dio fa per noi, andare dal papa è il minimo! Ma l’incontro con il Papa diventa un’esperienza così forte che è l’incontro con Dio, non perché il Papa sia Dio, ma perché lì realmente faccio esperienza di Dio.
Questo un po’ sulla fede, sulla religione, poi se ci sono domande possono venire in mente altre cose.

Vediamo qualche foto, sono quelle della processione.

Si vede l’esterno della cattedrale durante la Messa, poi tutta la gente, una vecchia locomotiva usata per portare la statua di Nostra Signora in processione, la fiumana di gente, alcuni che si sono costruiti un palchetto con della musica per suonare e rendere omaggio. Poi ci sono le case di polistirolo che queste persone portano sulla testa: indicano una forma di ringraziamento perché queste persone sono riuscite a comprare una casa o sono riuscite a pagarla. Oppure ha ricevuto una casa dalle liste comunali e deve ancora pagarla a rate. La cosa interessante è che, se hanno ricevuto una casa, gliel’ha data Dio e quindi vanno in processione con la casettina finta per dire grazie, perché tutto quello che ricevo di buono viene da Lui. Durante la processione ci sono tante altre persone che ringraziano per un dono che hanno ricevuto durante l’anno.

Qui vedete dei cartelloni pubblicitari di dimensioni gigantesche che, in questo caso, rendono omaggio alla Madonna. Questi manifesti si vedono anche in altri luoghi e in tutto il periodo dell’anno!

2 gennaio 2013 – Testimonianza don Davide 3/3

Pubblicata il 5 marzo 2013

Torna alla seconda parte della testimonianza *

Ora vorrei dirvi alcune cose sulla vita che faccio al km 7: due giorni alla settimana insegno in un istituto di teologia alla periferia di Belem, a circa 70 km; gli altri giorni della settimana li trascorro tendenzialmente al km 7. A volte vado a celebrare la messa in altri luoghi mentre partecipo a diversi incarichi nella diocesi relativi alla formazione dei diaconi e agli incontri culturali. La diocesi di Belem, infatti, ha un solo teologo: io (almeno, intendendo un laureato in teologia). Per questa ragione, in qualsiasi incontro culturale cui si vuole invitare la gente, devo partecipare e cerco di parteciparvi. Quando sono libero dall’insegnamento, il tempo che ho lo passo al km 7, ma nel frattempo cerco di prepararmi per questi incontri.
Per ora voi avete visto (male) alcune foto della mia casa, ora possiamo vedere alcune foto di altre case.
Chi ha ascoltato la mia omelia nel giorno di Natale a Sulbiate e qui a Bernareggio, avrà sentito parlare di alcune bambine: ecco, questa è la casa e questa è la mamma, di 27 anni, di queste tre bambine. La casa non è finita, non ci sono nemmeno le finestre o il pavimento

Questa è la foto di una casa vicino a me ed è interessante perché in Brasile si riesce a capire quante persone vi abitano dalla quantità dei panni stesi: tenete presente che il loro guardaroba non è come il nostro, per cui se ci sono due o tre magliette, facilmente indicano due o tre figli.

Questa è una delle case più povere che io abbia visto là: una stanza in cui abitava una famiglia che ora si è trasferita. Le famiglie si trasferiscono spesso perché la gente non ha la macchina, non ha la moto e molti non hanno nemmeno la bicicletta quindi, se trovano un lavoro, cercano di abitarvi il più vicino possibile e quindi si sposta tutta la famiglia. Per questo è difficile anche pensare a qualcosa o formare un’aggregazione perché le persone cambiano facilmente di casa. Questa è una famiglia che abitava qui da poco tempo e adesso si è già trasferita: in una stanza vedete le pareti di mattoni, senza bagno perché era fuori, e qui ci vivevano marito, moglie e quattro figli. Questo per darvi un’idea, lo ripeto, sulle case in quel congiunto, non sto dicendo in tutto il Brasile.

I bambini sono stati i primi che mi hanno avvicinato: il primo giorno avevo la casa piena di bambini curiosi che venivano a vedere. Questi sono i bambini vicini di casa che sono sulla pianta del mio giardino.
I bambini più piccoli, come vi dicevo, spesso hanno solo le mutandine e non hanno nient’altro e vivono fuori casa. Non ci sono pericoli, per cui stanno fuori fino alle sei di sera, quando viene buio e tutti si ritrovano in casa.

I bambini e le famiglie
Ho sentito recentemente di una ricerca che hanno fatto in Brasile: diceva che l’età media alla quale una donna ha il primo bambino, in Brasile, si sta alzando da 23 a 26 anni. Qui dove vivo io, invece, e più o meno in tutta quella zona, non è proprio così: qui in questo congiunto, per esempio, abita Camilla: una ragazza di 19 anni con tre figli. Io l’ho aiutata a costruire una stanza dove vive con il marito, o meglio il compagno, e in una stanza stanno loro con i tre figli.
Nella foto più sotto ci sono tre bambini: sono i tre figli, Luana, Gustavo e Maria che hanno 7, 5 e 2 anni, che la mamma di 23 anni ha lasciato. Dopo 10 anni di convivenza con il compagno, non ce l’ha fatta più ed è andata via lasciando appunto questi bambini.
Accade purtroppo che i 15 anni, soprattutto per una ragazza, siano un’età veramente molto sentita. Spesso vogliono celebrare una messa e fare una festa, perché i 16 anni sono l’età a cui una ragazza è pronta per un fidanzamento ufficiale. Spesso, al di fuori del fidanzamento ufficiale, alcuni ragazzi hanno un bambino: naturalmente sono relazioni e rapporti che difficilmente hanno una continuità. I bambini vengono dati ai nonni, a volte vengono dati ai padrino o ad altre famiglie che li allevano come fossero figli propri.
Magari un giorno, dopo 15 o 16 anni, questi figli vogliono rivedere il papà o la mamma per cui vanno a cercarli. È incredibile l’affetto che coltivano verso i genitori reali, senza nemmeno averli conosciuti.
Allora cosa succede? Spesso le famiglie sono complicate. L’idea di famiglia è infatti diversa perché, se io ho un figlio a 16 anni, ne ho un altro a 19, poi mi metto insieme ad un uomo che diventerà il compagno della mia vita, anche lui con già due bambini, si formano queste famiglie tutte un po’ così difficili.
Penso che sia anche per questo che qualche volta nelle famiglie succedano delle violenze perché non c’è stata una crescita insieme. È per questo che ci sono anche delle quasi-bambine, ragazzine (io ne ho conosciuta una proprio lì), che a 13 anni, pur di uscire di casa, accettano di mettersi insieme ad un uomo di 23-24 anni.

Ho già ripetuto varie volte in questi giorni, quasi come una battuta, che la bambina che abita davanti a me, o meglio davanti a me abita sua nonna e questa bambina di 10 anni va a casa della nonna, mi ha chiesto: “Quanti anni hai?” Quando io gli ho detto 42, la sua risposta è stata: “Come la mia nonna!” Abbiamo poi scoperto che lei è diventata nonna a 33 anni.
Ci sono quindi tanti bambini che vengono gestiti dai nonni o dalla nonna. C’è Hilary, per esempio, che ha 11 anni: è una bambina bellissima che vive con la nonna. Il papà è in carcere, la mamma è morta. E questa donna, la nonna, ha già perso due figli, uccisi, una figlia che è morta per malattia, mentre un altro figlio è in carcere e l’ultimo son più le volte che è ubriaco di quelle che sta bene. Purtroppo anche il fenomeno dell’ubriacatura e delle droghe è molto presente e, al bere, è associata la violenza che portano in casa, soprattutto gli uomini, ma non solo gli uomini.
Ho ascoltato una storia da una donna, proprio poche settimane prima di tornare in Italia, così dura e di sofferenze e violenze subite che, fisicamente, stavo male e non volevo più ascoltare. È stata anche la prima volta nella vita che mi è capitato di vergognarmi di essere uomo, maschio, sentendo tutto quello che ha passato quella donna.

Un altro aspetto a proposito delle donne e degli uomini che ho scoperto è che non è facile avere un lavoro. Ci sono dei lavori, ma non è facile averne uno regolare. E si può trovare un lavoro, ma non è scontato che l’uomo che lavora e che ottiene un salario (il minimo sono 680 Real, poco meno di 300€ al mese), porti a casa questo salario e lo condivida con la moglie. La brava moglie è quella che, senza chiedere nulla al marito, si arrangia a trovare mangiare e vestiti per i figli. Ancora una volta non dico che è sempre così, naturalmente, ma io ho visto questa cosa e ho anche capito il senso delle lotte dei movimenti femministi in Europa a proposito del diritto al lavoro. Ci sono uomini che quando la donna trova un lavoro, o la minacciano di lasciarlo o se ne vanno perché è chiaro che se io sono l’unico che lavora, tu dipendi in tutto da me. Ci sono donne che usano questa espressione: “Io sono la mamma e il papà dei miei figli” o “Soltanto io e Dio abbiamo allevato questi figli”. Oppure, altra espressione: “Io sono la donna vittoriosa” cioè che combatte, che ha lottato e che ha vinto nella vita.

A proposito dei figli ho sempre sentito, per il momento, che sono considerati una benedizione. Anche i figli di gravidanze indesiderate, o addirittura sofferte.

Per chi ha ascoltato la mia omelia, la bambina sulla sinistra è quella che, quando gli ho chiesto: “Cosa vorresti per il giorno della festa dei bambini?”, mi aveva detto con la testa bassa, quasi senza parlare: “La bicicletta!”
È sempre molto triste, questa foto sono riuscito a fargliela vicino a casa sua dove si sentiva più a suo agio.

Questa è un momento di festa, la festa di giugno, detta anche festa di San Giovanni, dove usano travestirsi e ballare.

Una parola sulla comunità cristiana: al km 7 la comunità è molto semplice, non ha struttura. Vi ho detto la storia di questo congiunto, è nato così, sono famiglie scacciate da un’invasione che il vescovo ha accolto alloggiato in queste case, che hanno ricevuto e che man mano pagano, almeno chi può permetterselo. Qui viveva appunto padre Mario, e dico padre perché “don” in Brasile si usa solo per i vescovi, quindi don Carlos è il vescovo e anch’io sono padre Davide. Insieme a padre Mario, qui in questo congiunto, suor Juan Francisca ha fatto la stessa scelta di vivere con questa gente povera. È una persona squisita con la quale mi trovo molto bene; mi sta aiutando moltissimo e lei è un po’ il punto di riferimento di questa comunità cristiana.

Quando hanno costruito questo congiunto, hanno fatto la scelta di costruire la scuola prima della chiesa, preoccupandosi di dare una formazione ai bambini; il salone della scuola, allora, diventa il salone per celebrare la messa. La scuola è diocesana, nel senso che la struttura è della diocesi, ma il personale è scelto e pagato dal comune, dalla prefettura, questo mi dà comunque la possibilità di entrare nella scuola con facilità.

Questo è stato un bel momento per la comunità. In agosto abbiamo celebrato la prima comunione di una donna di 27 anni: poche persone ma nessun parente. Lei vive al km 7 con sua figlia, ma non ha mai conosciuto il proprio padre. Ebbene, questa donna è scoppiata a piangere perché, quel giorno, era proprio la festa del papà in Brasile, non è stato scelto ma è capitato così. Lei ha notato una singolare coincidenza dicendo: “Io non ho mai avuto il papà: ricevere la prima comunione proprio nel giorno della festa del papà è il regalo più bello che potessi avere.”

Questa foto è stata scattata subito dopo la celebrazione: sono Luana e Maria. Maria ha 7 anni e fa da “mamma” a Luana e al fratellino più piccolo; il papà ogni tanto lavora e la mamma di 23 anni, appunto, li ha lasciati stanca delle violenze: immaginate una ragazzina di 13 o 14 anni che si è messa con quest’uomo, probabilmente ha vissuto tutta l’adolescenza in quel modo, e poi non ha più voluto continuare.

Questi sono vari momenti della vita del catechismo e della scuola.
Un giorno siamo andati in gita a Belem, praticamente in un parco. Appena siamo arrivati, un bambino mi dice: “Ah, siamo arrivati in Italia!”

Qui nel cortile della scuola stiamo giocando con una corda: stavamo improvvisando un’arrampicata su questa costruzione.
Qui il gioco della corda che ho portato e tutti hanno apprezzato molto.

Queste sono alcune foto dei giovani.

Loro al km 7 non hanno niente, nel senso che qualcuno lavora, ma sono pochi, mentre altri studiano. Il contributo che io ho chiesto per la Giornata Mondiale della Gioventù è simbolico: 5000 euro sono pochi per pagare il viaggio, ma io volevo che loro stessi si impegnassero a lavorare, a fare, a vendere, per riuscire a partecipare a questa Giornata.

Una volta quella suora di cui vi ho parlato mi ha detto: “Il brasiliano, in fondo in fondo al suo cuore, si sente impotente”. L’ha detto lei che è una brasiliana, io non posso giudicare queste parole, ma ogni tanto me ne ricordo e mi viene da pensare perché la sensazione è che loro vivano alla giornata. Il loro obiettivo è vivere, in molti non c’è l’idea di un futuro o di un progetto: viviamo.
E se non si ha speranza, non si può cambiare e non si hanno sogni: tutto è oggi e si cerca di vivere, di racimolare due soldi, di mangiare. Penso, non so se sbaglio, che questo sia anche il frutto, o in qualche modo sia legato, con il clima: lì è uguale tutto l’anno, quindi non cambia niente, è sempre così.
E allora, come diceva don Luca all’inizio, questo viaggio che faremo a Rio de Janeiro, che poi è l’incontro con il Papa, indica che la chiesa scommette sui giovani e li convoca, a me piace molto quest’idea: il Papa non convoca i grandi della terra per annunciare il Vangelo, ma i giovani. D’altro canto qui, in questa realtà, un’esperienza del genere acquista un valore simbolico perché, per una persona che non ha nulla, che vive un senso di impotenza, che vive un po’ alla giornata, il mettersi a lavorare per un progetto che lo porterà ad incontrare il Papa da lì a un anno, è una cosa difficilissima. Partecipare alla Giornata Mondiale della gioventù non vuol dire pagare, come facciamo noi se hai i soldi, o rinunciare a qualcosa, ma vuol dire arrangiarsi. Bisogna allora stargli vicino, programmare e pensare a quali iniziative proporre. Loro amano molto il gioco della tombola nei momenti di festa, la lotteria: allora monti un gazebo, fai una baracca, vai nel giorno della festa di indipendenza o della festa di Maria un lavoro enorme! Alla fine racimoli 25-30 real a testa, e ne occorrono 1500 a testa. Tutto questo, sapendo che loro non hanno la macchina per cui devi andare tu a portarli in un luogo o in un altro, standogli dietro. Non è come qui in Italia che possiamo permettercelo con più facilità.
Per me questa esperienza acquista un significato simbolico, e questo fa pensare: è chiaro che la tentazione di tutti è dire: “Sistemiamo la casa a quella signora” oppure “Non ha la bicicletta? Senti ne ho a casa una io lasciata in cantina da mio figlio che non usa più, diamogli la bicicletta”. È vero! Ma se uno si sente impotente o di non essere in grado di fare nulla, se uno non ha un sogno, come si può sentire vedendo uno che va là e gli fa tutto? Che lui, ancora di più, non è capace di far niente o, come anche la religione in qualche modo là suggerisce, che si aspetti solo un miracolo, quel miracolo che cambia la vita, ma che deve venire giù dal cielo.
L’aiutare, quindi, non è cosa semplice. C’è una famiglia che si è preparata in un centro missionario a Verona l’anno prima che io partissi, ora si trovano in Bahia (uno stato nel centro del Brasile) con alcuni preti dell’Emilia Romagna. Questa famiglia si è affiancata a questi preti che da anni hanno fatto la scelta di non aiutarli in nessun modo con i soldi, perché dopo tanti anni si sono accorti che non è il modo migliore per aiutarli. Io, personalmente, per il momento penso a questa cosa. L’aiuto che offro è a volte una medicina, un affitto che non riescono a pagare, una mamma che sta male e non può lavorare per i tre figli: allora gli compri riso e fagioli, che è il piatto tipico quotidiano. Verrebbe da dire, ma si, cosa ci vuole, mettiamogli
però serve sempre una riflessione più complessa.

Padre Mario, al km 7, ha costruito invece con una Fondazione, una fabbrica che dà lavoro a circa venti donne, chiamata “La samaritana” perché sono tutte donne sole che hanno avuto storie drammatiche con vari mariti. Praticamente è una fabbrica di patatine che dà lavoro a queste donne che sono associate: non hanno quindi un padrone, ma loro stesse sono le proprietarie, diciamo così. È comunque difficile, molto difficile. L’idea è un sogno. Lavorano solo quattro ore al giorno, hanno un salario minimo per poter accudire i figli, ma è difficile con persone che non hanno una formazione; qualcuna non sa neanche leggere. Sono persone abituate a relazioni basiche, istintive, e anche questa è una sfida. L’idea però mi è sembrata geniale perché non vuol dire solo dare un aiuto, ma mette la persona in grado di guadagnarsi da vivere e, quindi, in qualche modo di coltivare un senso della propria vita.

Questo è un garapé, una specie di laghetto: a volte questi torrenti che attraversano la foresta si aprono ed è il massimo divertimento fare il bagno. Io ho sempre un po’ paura perché a volte mi dicono che lì vicino c’è un’anaconda o c’è un coccodrillo, ma per il momento è andato tutto bene.

Qui sono dei giovani che, con una padella, stavano vendendo non so che cosa ad una festa.

Qua è suor Francisca che abita al km 7 e questa è un’altra suora che ci aiuta nella pastorale dei giovani. Si capisce qui lo spirito di appartenenza, per cui ho regalato queste magliette a tutti i giovani che andranno a Rio de Janeiro così loro possono usarla quando stanno vendendo o ci sono dei raduni.

Queste foto mostrano un po’ i lavori che stiamo facendo insieme

Vorrei invece spendere una parola sull’idea di missione, poi concludo questa mia riflessione lasciando a voi la parola se ci sono delle domande. Mi sono chiesto tante volte qual è la mia missione. Uno dei testi che più mi ha aiutato a dare una risposta è nel libro degli Atti al capitolo 16:

Attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia,
avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia.
Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia,
ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro;
così, attraversata la Misia, discesero a Troade.

Durante la notte apparve a Paolo una visione:
gli stava davanti un Macedone e lo supplicava: «Passa in Macedonia e aiutaci!».
Dopo che ebbe avuto questa visione,
subito cercammo di partire per la Macedonia,
ritenendo he Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore.

È un testo che mi ha illuminato molto e che considero interessante sulla missione. Paolo, Sila e Timoteo avevano la loro idea: andiamo a formare una comunità là, avevano un progetto. Lo Spirito di Gesù, lo Spirito Santo, però, glielo impedisce due volte, poi un sogno, un macedone che li chiama.
Ecco l’idea di missione che dentro di me si è formata quest’anno: accantonare le mie idee ed i miei progetti, o meglio, dobbiamo avere un’idea ed un progetto, ma dobbiamo essere pronti ad accantonarli per accogliere le persone che si presentano con un bisogno: “Vieni e aiutaci” e quella è diventata la missione di Paolo.
Pensavo cos’ anche il mistero del Natale in questi giorni: Gesù nasce bisognoso, come un bambino, e chi lo accoglie accoglie Dio. Dio ci chiama in questo modo! Per me tutto questo è molto reale perché qualche volta è successo, all’inizio era settimanale poi per fortuna si è diradato, che ero lì in casa il mattino alle 7, stai cercando di pensare e di studiare, ma arriva qualcuno:
“Senti, puoi portare mia zia all’ospedale?”
“Adesso?”
“No, tra mezz’ora!”
Allora pianti lì tutto e pensi: “Ma non sono un taxista, però io ho la macchina e perché io devo avere il diritto di andare se ho bisogno, mentre loro non hanno neanche i soldi per comprare il biglietto dell’autobus?”
Queste parole assumono quindi un significato molto concreto: incontri qualcuno che ti chiede qualcosa e ti costringe a cambiare i tuoi piani.
Ho pensato anche a quando ero qui in Italia e qualcuno voleva parlare con me e allora, agenda alla mano, fissiamo un incontro da qui a due mesi! Chiaro che qui è diverso, è complesso e non voglio dire che sia la stessa cosa, un progetto è inevitabile, ma mi ha molto sollecitato questa cosa.

Il Signore molte volte entra nella nostra vita, in sogno, in persone che hanno bisogno, che disturbano i nostri progetti e le nostre idee e che ti chiedono aiuto. Nell’accogliere quell’aiuto tu puoi incontrare Dio.
A me non è mancato nulla in Brasile: la vita è molto semplice. Ho comprato solo un mese fa una televisione anche perché mi han detto che mi poteva aiutare per la lingua e va bene, ho comprato un televisore che prende un canale (male) ma è sufficiente. Per il resto non mi è mancato davvero nulla.
Vestiti non è possibile averne molti perché ammuffiscono a causa dell’umidità, è meglio averne pochi e lavarli spesso. Una vita molto semplice, ma ricca nelle relazioni. Nella gratitudine che le persone esprimono quando entri nelle loro case, nell’ascolto delle persone, nel restare in silenzio senza sapere cosa dire di fronte a certe situazioni, io sperimento che è il Signore che mi sta chiamando.

Vi faccio ascoltare un ultimo canto così potete ripensare a qualcosa di quello che ho detto poi, se ci sono domande o considerazioni, le ascolterò molto volentieri.
Io non vi ho detto tutto, è chiaro. Qualcosa ho volutamente lasciato fuori perché sono cose che vorrei ancora capire bene. Questo è un canto che manifesta quella tendenza, quel fenomeno carismatico pentecostale molto forte in Brasile, che si manifesta nell’invocare lo Spirito Santo. Questo è proprio un canto che chiede e chiama lo Spirito Santo per trasformare la vita.

 

16 gennaio 2014 – Testimonianza a Bernareggio

16 gennaio 2014
Durante le sue “vacanze di Natale” e il suo rientro in Italia,
don Davide ci ha regalato un’altra serata-testimonianza
raccontandoci un po’ la sua vita in Brasile, la situazione sociale e
il concetto di Missione  a cui siamo chiamati.
Raccoglieremo qui un po’ di materiale – ricordo.

Innanzitutto, dove si trova don Davide:

Registrazione audio.

Poi, la presentazione del “Cìrio de Nossa Senhora” di Belém,
evento di fede (ma non solo), partecipato da milioni di persone.

Registrazione audio.

Il brano spiegato da don Davide è stato anche cantato durante la Giornata Mondiale della Gioventù.
Facendo clic sull’immagine potrete vederne il filmato da YouTube.

Don Luca ci ha poi letto un racconto che ben rappresenta le usanze ed il pensiero
della popolazione brasiliana.